Secondo l'ultimo Dpcm approvato ieri, 3 dicembre 2020, non è ancora il momento di far tornare gli studenti delle scuole superiori alla didattica in presenza. La data decisa per adesso è quella del 7 gennaio e si mormora che a tornare in classe sarà solo il 75%, se non il 50, dei ragazzi.
Il Dpcm
"Dobbiamo lavorare ancora tanto per dare massima sicurezza ai nostri ragazzi. Se la curva dei contagi sale c’è più pericolo. Dobbiamo stare attenti soprattutto a quello che accade prima e dopo la scuola. Abbiamo inserito una nuova modalità per unire sanità, istruzione e trasporti. Così ci saranno dei tavoli istituiti nelle Prefetture. Non vogliamo escludere nessuna opzione di flessibilità. I tavoli nelle prefetture serviranno a valutare tutte le opzioni: se ci saranno scuole disponibili a turni pomeridiani, ben vengano. I tavoli serviranno a integrare questi dati con quelli del trasporto locale. Non possiamo farlo noi da Roma, siamo disponibili a un supporto ma alcune scelte chiedono modulazioni territoriali”. Queste le parole del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la conferenza stampa tenuta ieri per annunciare tutte le misure previste dal nuovo Dpcm. Il Governo ha quindi riservato nel decreto un ruolo importante per i prefetti che dovranno fornire i protocolli per il rientro in classe e per la gestione dei trasporti. Questo sistema serve a garantire la massima flessibilità in base alle singole possibilità e necessità di ogni istituto scolastico.
Attualmente, nelle zone gialle e arancioni le attività didattiche per le scuole dell’infanzia e per le scuole secondarie di primo grado continuano a svolgersi in presenza, mentre nelle zone rosse fanno didattica digitale integrata anche gli studenti delle seconde e terze classi delle medie. I liceali sono però stati sacrificati ovunque, con la didattica a distanza da ormai oltre un mese.
Le reazioni
Ma se il Governo è diviso, tra chi riteneva che si potessero riaprire le scuole già a metà dicembre e chi ha preferito invece seguire la linea del rigore, che ha poi prevalso, cosa ne pensano i ragazzi?
Dopo quasi metà dell'anno scorso passata a casa, si era visto un barlume di speranza a inizio autunno, con le scuole e gli studenti stessi che si sono impegnati al massimo per far funzionare il tutto. I ragazzi erano entusiasti e pronti. Ma poi è arrivata la seconda ondata e tutto è tornato come prima, se non peggio.
Nelle ultime settimane non sono mancate le proteste da parte di studenti e genitori, che ritengono che la dad non sia minimamente paragonabile a ciò che la didattica in presenza offre ai ragazzi, sia a livello di istruzione ma anche a livello sociale. Proprio oggi la Repubblica ci offre un approfondimento su quanto questo tipo di istruzione abbia alimentato le disuguaglianze fra studenti. Quello che sappiamo per certo è che l'Italia è il Paese dove le scuole sono rimaste chiuse per più tempo, e dove gli studenti di licei e istituti sono stati sempre i primi ad essere sacrificati. Ma cosa si sarebbe dovuto fare di diverso? Cosa poteva garantire la sicurezza nelle classi e un degno livello di istruzione? Purtroppo, per avere la risposta, si deve guardare indietro a anni e anni di errori e di politiche che hanno contribuito a fare sì che la scuola italiana si trovasse completamente impreparata a un'emergenza simile.