Cori e cortei. Voci dalla manifestazione del 6 settembre contro la manovra
Impressioni di settembre
Lucida rassegnazione, protesta senza se e senza ma, speranze di cambiamento: i sentimenti della Piazza ci raccontano le alterne sorti di un’Italia in trincea
Redazione | 28 settembre 2011
Precarietà emotiva: in queste due parole si può riassumere lo stato d’animo di noi ragazzi alla vigilia di questo nuovo anno scolastico e accademico, dopo un agosto di fuoco non solo per colpa del clima. L’Italia va a rotoli e le cifre negative di Piazza Affari che affollano i telegiornali sono lì a ricordarcelo. Noi facciamoil nostro meglio a scuola, ci buttiamo a capofitto ed entusiasti nei nostri progetti di vita, scegliendo magari un percorso universitario in base alle nostre attitudini o perché qualcuno ci dice: “è la facoltà più richiesta”. Richiesta da chi? Da un paese che non cresce più, il cui PIL non sale più di un punto percentuale? Da un governo che continua a non prendere misure a favore dell’occupazione giovanile, arroccato com’è sui privilegi di pochi? Come poche sono le speranze di costruirlo davvero un futuro, in Italia: di qui il sentirsi precari anche nei sentimenti, quando non sei sicuro se le tue capacità avranno davvero un posto nel mondo del lavoro o quando non riesci a immaginare il giorno in cui potrai farti una famiglia. E mentre il Governo fa e disfa manovre come un letto, sentiamo che scendere in piazza è rimasta una delle poche occasioni per dissentire. Il 6 settembre a Roma c’eravamo anche noi in occasione dello sciopero generale della Cgil: ma a prevalere è la rassegnazione o la speranza che qualcosa cambi? «Siamo qui perché dobbiamo assicurarci un futuro, io lo immagino più bello di questo: il problema delle pensioni, i tagli alla scuola sono tutte cose con cui dovremo fare i conti», dicono tre ragazzi quindicenni. Incontriamo anche qualche padre che ha scelto di portare con sé i figli liceali: «Sono con mia figlia per il suo futuro: noi siamo il passato, non si può pensare di vivere in un paese gerontocratico, dobbiamo dare ai nostri figli l’opportunità di crescere in un paese migliore». Gli errori dei padri ricadono dunque sui figli? Di certo l’impressione che abbiamo è che questo paese oggi guardi più indietro che avanti e che indubbiamente abbia via via relegato il valore della cultura in un cantuccio oscuro, con il pericolo che tra qualche anno la consapevolezza stessa che qualcosa non va l’avranno in pochi. Colpisce il commento di una giovane mamma: «Il futuro lo vedo molto male: io sono una mamma e la situazione non è per nulla rosea. C’è assolutamente bisogno di una presa di coscienza, soprattutto da parte di quelli che non ci sono qui oggi: devono capire che se andiamo avanti così il paese lo buttiamo, l’Italia crolla».
Crolla come il sistema scolastico,quando due classi rischiano di essere accorpate e di studenti, in un’aula, ce ne sono 42. Ci spiega Giacomo: «In seguito ai tagli del personale docente, la n o s t r a scuola dovrà accorpare le due terze con sperimentazione PNI, che io frequento: siamo 21 per classe, quindi o diventiamo 42, oppure nella migliore delle ipotesi si farà una classe da 30 e 12 saranno lasciati al loro destino, spediti in un’altra classe (non PNI) o addirittura in un’altra scuola». Chiediamo secondo quale criterio. «Non lo sappiamo! Forse il sorteggio: siamo a una settimana dall’inizio e ancora non lo sappiamo, forse quelli con il rendimento più basso verranno mandati via».
Crolla come lo stato sociale, quando un’anziana è costretta ad occupare una casa con altre dieci persone perché non riesce più a vivere con i soldi della pensione: «L’obiettivo del nostro Comitato popolare “Lotta per la casa” è quello di avere un tetto: tantissimi oggi non ce la fanno ad andare avanti dovendo sostenere la spesa dell’affitto con un lavoro che il più delle volte è occasionale», ci spiega Hagar, 19 anni, di origini egiziane ma romana doc nella cadenza.
Crolla, a lungo andare, anche la speranza: «Il futuro dopo la scuola io non riesco proprio a vederlo, non ce la faccio: già sai che diventerai precario o disoccupato, che tipo di speranza posso avere?», ci chiede un sedicenne romano. Diceva Locke che quando i governanti tradiscono le ragioni della loro posizione, ciascun cittadino deve azionare il proprio “diritto di resistenza”. E forse dovremmo dargli ragione: «Io credo che ci sia sempre speranza, credo nella lotta, nelle persone, in quello che vedo e nei movimenti che si sono affermati in questi ultimi mesi» dice Sabrina che da grande vuole fare l’insegnante.
Se chi decide ha deciso che ora la guerra è la necessità, io stringo i pugni e mi dico che tutto cambierà.
Ma a cambiarlo, questo paese, dobbiamo essere noi.
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