Emergenza edilizia
Diritto allo studio, sicuro
Un edificio scolastico su tre in Italia necessita di un intervento di manutenzione e la maggior parte delle strutture è vecchia. #labuonascuola deve partire da qui, se vuole davvero diventarlo
Maria Chiara Parisi | 31 dicembre 2014
Cinque ore al giorno, per sei giorni, per dieci mesi l’anno. Il tempo che passiamo a scuola è molto: ci aspetteremmo di viverlo in sicurezza e in un ambiente confortevole. Invece oggi un ragazzo intraprende il proprio cammino culturale dentro strutture che poco rispecchiano le sue esigenze, che poco lo stimolano nelle attività e ancor meno garantiscono la sicurezza delle lezioni. Se ho quindici anni e sto traducendo in classe l’Iliade, mi sto avvalendo del mio diritto allo studio; se ho quindici anni e passo tutti i giorni nella mia seconda casa, chiamata scuola, devo avere anche il diritto allo studio sicuro. Un diritto che però sembra dimenticato: secondo quanto emerge dal quindicesimo Rapporto “Ecosistema Scuola” di Legambiente, il 32,5% delle scuole necessita di interventi urgenti di manutenzione, un edificio su due è stato costruito prima dell’entrata in vigore della normativa antisismica del 1974. E per completare il quadro, il XII rapporto “Sicurezza, qualità, accessibilità a scuola” di Cittadinanzattiva ci mostra come il 73% delle scuole presenta lesioni strutturali, di cui il 36% all’interno. Non c’è allora da stupirsi che gli edifici scolastici siano diventati pericolosi e fatiscenti.

UNA LEGGE INATTUATA
«La Legge 23/96, conosciuta come legge Masini – spiega Vanessa Pallucchi, presidente di Legambiente Scuola e Formazione – prevede nelle intenzioni un meccanismo per tenere in piedi la qualità del sistema dell’edilizia scolastica, ma non è stata finanziata nel tempo. La legge che regola l’edilizia scolastica, inoltre, è del 1975: nel frattempo è cambiato il mondo. È caduto il Muro di Berlino, la Cina è diventata la più grande potenza a livello mondiale, noi siamo rimasti fermi». E ne paghiamo le conseguenze, in alcuni casi tragicamente: ricorderete i drammatici episodi delle scuole di San Giuliano e di Rivoli, in cui bambini e un ragazzo persero la vita. Continua Pallucchi: «Da quel momento l’attenzione dell’opinione pubblica si è risvegliata e sicuramente rispetto a prima c’è più consapevolezza, anche da parte dello Stato».

LA BUONA SCUOLA?
In questo senso, anche il Piano scuola del Governo Renzi sembra dare risalto al problema, prevedendo una serie di interventi. «È un buon punto di partenza, sicuramente – commenta Adriana Bizzarri, responsabile scuola di Cittadinanzattiva – Noi, però, da subito abbiamo notato il fatto che si fosse data enfasi a interventi di piccola manutenzione, decoro e abbellimento per colpire un numero elevato di scuole. Sui media è stato sdoganato in modo un po’ altisonante, ma in realtà questo ha poco a che vedere con la sicurezza, settore in cui i numeri degli interventi sono decisamente più bassi». Gli interventi di abbellimento di cui parla Adriana Bizzarri e che nel Piano scuola rientrano nel capitolo #scuolebelle, inoltre, saranno affidati a lavoratori socialmente utili, che principalmente si occupano di pulizie e che quindi ben poco potranno fare di incisivo per quanto riguarda problemi idraulici o di falegnameria. Anche sugli interventi in materia di #scuolesicure c’è un problema di impostazione: sono stati i Sindaci a decidere dove intervenire, senza una reale mappatura delle urgenze. E ancora: sono stati poco considerati gli edifici scolastici di proprietà delle province, ovvero le scuole superiori, che in molti casi sono grandi e frequentati da un gran numero di persone.

SE NON FUNZIONA L’1.0
Se quindi da una parte è giusto puntare sulla modernità, sul 2.0, bisogna prima assicurarsi che l’1.0 sia in condizioni ottimali per poter fare un passo avanti nel futuro: il registro elettronico non serve a molto se poi pezzi di intonaco piovono dal soffitto delle aule. Commenta Pallucchi: «La scuola del futuro è una bella sfida e come tale va accolta, ma si deve aver chiaro il modello di scuola che si intende portare avanti. Questo anche per pianificare degli interventi mirati e funzionali: certo, c’è una scala di priorità, però andrebbero portate avanti insieme. Se noi spendiamo tremila euro per un edificio scolastico per metterlo a norma e dobbiamo fare un intervento di manutenzione straordinaria, chi ci impedisce di pianificarlo con insegnanti e studenti? La lettura dei bisogni di chi vive la quotidianità scolastica è fondamentale per una scuola utile oltre che sicura».
Quindi da un lato si parla di innovazione, di didattica alternativa, dall’altra se si fa un intervento è solo in funzione della normale didattica frontale. «Se si parla di didattica in gruppo – continua – allora si dovrebbe ripensare, ad esempio, l’architettura stessa degli edifici, con la costruzione di tramezzi mobili. Se non sappiamo dove vogliamo andare si costruisce una struttura di facciata: sotto la dicitura #scuolebelle non c’è una chiarezza di intenti».
La domanda che ci dobbiamo porre, dunque, è: quale scuola serve ai cittadini del XXI secolo? E da lì intervenire: d’altronde la scuola non è un edificio pubblico qualunque e non basta riempirla di LIM per giudicarla moderna.

I DANNI DEL MANCATO INTERVENTO
Cosa succede ad un edificio in cui le fondamenta non sono solide? Crolla, non solo in senso allegorico, ma proprio fisico. 36 sono stati i crolli di tetti, intonaco, solai solo tra settembre 2013 e agosto 2014. Questo dipende sia dalla mancanza di finanziamenti, sia anche da una mancata lungimiranza e assente strategia di intervento. La crisi pesa sulle basi già poco solide delle scuole italiane. In media, le risorse sono diminuite dal 2012 al 2013 di circa 22mila euro per ogni singolo edificio, così come per la manutenzione ordinaria, che vede per ogni struttura scendere di quasi 2mila euro l’esigua cifra di 8808 euro dello scorso anno. In queste condizioni, è comprensibile che poco si possa fare. Ma non di minor peso è l’assenza di una pianificazione: «Bisognerebbe individuare dei puntuali indicatori per capire stato degli edifici, sia attraverso personale che sta all’interno della scuola, sia risorse esterne – spiega Pallucchi – Sono inoltre necessari un continuo monitoraggio e una semplificazione delle procedure. Facciamo un esempio pratico: se in una scuola c’è una finestra rotta non è che si chiamano un falegname e un vetraio e la questione sui risolve in un giorno. È una cosa lunghissima e burocratica: prima c’erano gli operai comunali che intervenivano, mentre oggi bisogna fare delle gare per un affidamento esterno». E nel frattempo? «Nella migliore delle ipotesi può entrare acqua, nella peggiore può crollare. Insomma, anche un intervento ordinario rischia di diventare straordinario. Ma noi ci terremmo a casa una finestra rotta per un mese e più? E allora perché dovremmo farlo in una classe dove ci sono 25 persone?».

LA SCUOLA A DUE MARCE
Come spesso accade in Italia, c’è poi un problema di sperequazione fra Nord e Sud del Paese. «Leggendo il documento del Governo sulla scuola ci sembra che siano state penalizzate nei fatti le regioni del Sud, perché non avendo loro accantonato fondi da spendere nel capitolo edilizia scolastica, lo scioglimento del vincolo del patto di stabilità di fatto è stato inutile a questo scopo. Chiediamo che lo Stato utilizzi il proprio strumento sussidiario e intervenga nelle regioni del Sud dove ci sono deficit strutturali molto pesanti», commenta Bizzarri. «Questo però accade anche in base alle priorità dettate dalle governance territoriali. Come è possibile – precisa Pallucchi – che a parità di finanziamenti elargiti la situazione a Trento sia molto migliore che a Foggia (rispettivamente primo e ottantaduesimo posto della classifica delle città capoluogo in materia di interventi)? Certo, c’è una differenza di ricchezza territoriale degli enti locali, ma non bisogna dimenticare che il Sud ha anche i fondi strutturali proprio per le regioni del meridione, che potevano essere orientati al miglioramento del patrimonio edilizio scolastico». Questo inevitabilmente si ripercuote sui ragazzi e sulle modalità di apprendimento. In tema di scuola il Sud è decisamente più arretrato del Nord, nonostante la necessità di interventi sia più elevata e i rischi idrogeologici, vulcanici e sismici siano caratteristiche proprie del territorio. Se però non c’è una volontà politica, i soldi vengono spesi in altro modo e questo probabilmente si è accentuato da quando, nel ’96, la materia è passata dallo Stato a Comuni e Province. I più virtuosi hanno continuato a porsi il problema, altri invece hanno lasciato degenerare la situazione e a pagarne i danni sono gli studenti. Senza contare i costi degli interventi di emergenza, molto più elevati. Commenta Bizzarri: «Se ci sono tracce di muffa su un muro significa che da qualche parte c’è un’infiltrazione d’acqua. Se si lascia così per anni non è difficile prevedere che prima o poi ci sarà un distacco di intonaco».

IL MANCATO CENSIMENTO
Parola d’ordine, dunque, intervenire. Sì, ma dove? Da dove cominciare? Detta con i dati nudi e crudi, la situazione sembra fare acqua da più punti di vista: solo il 30% delle scuole possiede la certificazione antincendio; un terzo degli edifici è stato costruito in zone ad elevato e medio rischio sismico, spesso prima della normativa antisismica e quindi con materiali inadatti; 2400 strutture ancora presenterebbero amianto al loro interno. «Una delle cose che chiediamo a gran voce ormai da tanto tempo è l’Anagrafe scolastica, ovvero un database aggiornato in tempo reale che monitori costantemente lo stato degli edifici scolastici, per poter ben veicolare i finanziamenti», denuncia Pallucchi. I fondi spesso non vengono distribuiti in maniera costante e a lungo termine, ma a pioggia e in maniera estemporanea. Le scuole avrebbero invece bisogno di un costante monitoraggio per poter fare una pianificazione incisiva. Conferma Bizzarri: «Stiamo lottando per la creazione dell’anagrafe: in Italia ci sono 41mila edifici pubblici e 15mila privati. Capirete che è assolutamente necessario avere questo strumento a disposizione per sapere dove intervenire in via prioritaria».

CONSAPEVOLEZZA E PARTECIPAZIONE
Forse a chiederlo a gran voce dovremmo essere noi tutti: servirebbe più consapevolezza della situazione. Noi spesso ci accorgiamo delle cose che non vanno dopo che accade qualche fatto grave, perché nessuno ci mostra l’importanza di certe azioni di prevenzione. Per noi se una finestra è rotta o l’intonaco del muro è staccato è tragicamente normale in molti casi. «Bisogna lavorare sullo sviluppo di una cultura della sicurezza. Se si vuole far crescere una cultura di auto protezione bisogna partire dalla consapevolezza», spiega Bizzarri. Al tempo stesso, però, sono le stesse istituzioni a dover tenere conto dei bisogni di chi la scuola la vive davvero tutti i giorni, in classe, in palestra, in cortile. Conclude Pallucchi: «La scuola non è un ospedale, un carcere o un ufficio delle imposte. Bisogna dare protagonismo alle comunità scolastiche. E capire insieme ai ragazzi quali possano essere gli spazi utili. Le istituzioni devono imparare a leggere le loro esigenze, altrimenti quando finalmente si interverrà verranno riqualificate scuole non funzionali alle differenti didattiche che si possono fare». E allora non servono solo slogan, bisogna chiedersi di cosa hanno bisogno i ragazzi del XXI secolo. #lascuolacambiase…