Educazione sessuale nelle scuole, il governo fa marcia indietro
I fondi promessi per l’insegnamento verranno destinati al contrasto alla denatalità
Alessandra Testori | 15 gennaio 2025

Quando a dicembre si era diffusa la notizia che nella Legge di Bilancio era previsto un fondo da 500 mila euro da destinare alla formazione scolastica sui temi di affettività e sessualità, sembrava quasi troppo bello per essere vero. Finalmente un’azione concreta per arginare i femminicidi (61 avvenuti solo nel 2024) a partire dalla scuola, si era pensato. Un primo passo verso una maggiore consapevolezza di genere, giustamente introdotta all’interno dell’istituzione scolastica. Ma ormai è chiaro che questi fondi verranno destinati a una battaglia molto diversa: il contrasto alla denatalità.

La scorsa settimana infatti il Senatore Luca Ciriani, Ministro dei Rapporti con il Parlamento, ha chiarito che i corsi attivati con i fondi avranno un’“attenzione specifica al tema dell’infertilità maschile e femminile” per l’esigenza di “informare circa il tema dell’educazione sessuale e riproduttiva”. Ammesso che il problema della denatalità in Italia sia legato effettivamente all’infertilità, e dunque a patologie mediche, non è chiaro come questa possa essere sconfitta tramite l’informazione.

Ciò nonostante, questo cambio di rotta è utile non solo alla promozione della procreazione, ma anche al boicottaggio di un’ideologia tanto specifica quanto nei fatti inesistente: la fantomatica “teoria gender”. Si tratta in realtà dell’insieme delle teorie sviluppate dagli anni ’30 in poi nell’ambito degli studi sociali, da Margaret Mead a Simone de Beauvoir fino a Judith Butler, che hanno evidenziato come il genere (“gender” in inglese) non sia qualcosa di dato, di naturale, ma sia in realtà un costrutto sociale che varia nello spazio e nel tempo. A partire da questa analisi, recentemente è stata ripresa, soprattutto dal movimento woke e da quello LGBTQIA+, l’idea del genere come costrutto sociale, applicandola all’identificazione personale e sostenendo la possibilità di una discordanza tra il sesso biologico e l’identità di genere degli individui. La diffusione di questo concetto ha portato, soprattutto negli Stati Uniti, molti e molte insegnanti a dichiarare apertamente la propria identità di genere, di solito collegandola all’uso dei pronomi appropriati.

Una vera e propria “ideologia gender”, esplicita e strutturata, dunque non esiste. Ma ciò nondimeno il suo fantasma spaventa moltissimo i sostenitori della cosiddetta famiglia tradizionale, terrorizzati all’idea che l’educazione affettiva e sessuale a scuola si trasformi in pura propaganda “pro gender”. Per questo l’Onorevole Rossano Sasso (Lega) ha voluto tranquillizzare le famiglie e assicurare che “nella scuola italiana non ci sarà mai spazio per l’ideologia gender. Non ci sarà spazio per chi, abusando del proprio ruolo di educatore, intende strumentalizzare bambini e adolescenti. Non ci sarà spazio per chi”, ha proseguito, “utilizzando come cavallo di Troia la sacrosanta lotta alle discriminazioni omofobiche vorrebbe insinuare teorie e derive ideologiche care alla sinistra come l’ideologia gender”.

Forse i genitori si sono sentiti sollevati da questa notizia. Quasi sicuramente hanno avuto una reazione opposta le famiglie delle sessantuno vittime di femminicidio dell’anno scorso. Ma almeno si potrà contare su 500 mila euro per contrastare la denatalità.