#Qualemerito
Perché la denominazione “Ministero dell’Istruzione e del Merito” ha acceso polemiche e dibattiti
Greta Borgonovo | 5 dicembre 2022

Tra i cambiamenti attuati dal governo Meloni, l’aggiunta della parola “merito” nella denominazione del Ministero dell’Istruzione ha fatto molto discutere. “Merito significa dare una opportunità a chiunque per tirar fuori il meglio di sé; se questo preoccupa, sono preoccupato pure io”, ha replicato il ministro Giuseppe Valditara. Attraverso la valorizzazione del merito, il ministro ritiene possibile combattere le disuguaglianze presenti nella scuola. È davvero così?

Prima di tutto, è necessario capire cosa intendiamo per merito. Nella concezione comune, il merito è l’unione di talento e impegno: una combinazione vincente, in grado di portare pressoché chiunque ad ottenere traguardi e riconoscimenti. Analizziamo queste due componenti: la prima, il talento, è costituita da una serie di caratteristiche che l’individuo ha «ereditato» per via genetica, ambientale, familiare. Qualcosa di totalmente indipendente dalla sua volontà. L’impegno è sicuramente un fattore su cui il singolo 

ha maggiore controllo, ma è difficile valutarlo in maniera oggettiva. Come stabilire chi si è impegnato di più? In base al numero di ore dedicate allo studio? In base al risultato? In questo caso, si potrebbe pensare di far coincidere il merito con la competenza: è più meritevole chi sa fare meglio una determinata cosa. Ad esempio, chi prende nove nella verifica di matematica è da ritenersi più meritevole di chi prende sette. Anche in questo caso, però, il concetto non regge. Guardare alla competenza vuol dire dare per scontato che tutti abbiano avuto pari opportunità di svilupparla, quando spesso non è così. Diversi dati, tra cui il rapporto Nuotare Contro Corrente di Save the Children, evidenziano come i ragazzi e le ragazze che vivono in famiglie molto povere non riescano a stare al passo con i propri coetanei. I risultati degli esami riportano che i minori che vivono in famiglie svantaggiate, nel 24% dei casi, non hanno ottenuto le competenze minime in lettura e in matematica. Tra i ragazzi e le ragazze provenienti da famiglie più agiate la percentuale scende al 5%. I risultati scolastici sono quindi fortemente influenzati dalle disponibilità economiche della famiglia d’origine: più è basso il reddito, più aumenta la probabilità di avere rendimenti scarsi. Al contrario, chi proviene da famiglie benestanti frequenterà scuole migliori e farà più esperienze formative: in breve, avrà più probabilità di avere successo. Ad oggi, la scuola non riesce a colmare queste differenze, anzi, durante il percorso di studi questo gap tende ad accrescersi. (Cunha, F., et al. 2006. “Interpreting the evidence on life cycle skill formation”. In: Hanushek, E.A., Welch, F. (Eds.), Handbook of the Economics of Education. North-Holland, Amsterdam, pp. 697-812).

Tenendo conto di questi dati, capiamo come il concetto di merito, paradossalmente, rischi di diventare una giustificazione delle disuguaglianze: chi parte avvantaggiato diventerà sempre più bravo, mentre chi ha più difficoltà rischierà di essere lasciato indietro.

Non solo: la retorica del merito rischia di avere un impatto negativo sulla salute mentale degli adolescenti. Se riteniamo meritevole chi ce l’ha fatta, ne consegue che consideriamo un fallito chi invece non raggiunge i traguardi sperati: non si è impegnato abbastanza, non era abbastanza talentuoso. In breve: è colpa sua. In questa visione semplicistica, fattori rilevanti come la condizione socioeconomica della famiglia spariscono. Questa retorica rischia di aumentare lo stress già ampiamente presente nelle scuole italiane, come documentato dai dati PISA 2015 sul benessere degli studenti. Tra le prime cause di stress e depressione, troviamo infatti la pressione scolastica e la paura di fallire.

Premiare l'impegno e offrire opportunità agli studenti piú brillanti è giusto. Tuttavia, la scuola non deve diventare un luogo di "selezione" in cui gli studenti vengano etichettati in base al loro rendimento. Al contrario, la scuola deve puntare a portare tutti i suoi studenti a un livello adeguato, partendo proprio da quelli con maggiori difficoltà. Solo quando questo obiettivo sarà pienamente raggiunto, potremo permetterci di parlare anche di merito.