Vincenzo Bevar è il project manager della Cinemovel Foundation, che porta il cinema nelle scuole italiane attraverso il progetto Schermi in classe. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente per farci raccontare i cinque anni di questa bellissima esperienza.
Come spiegherebbe "Schermi in classe" a uno studente?
"È un macro-progetto lanciato qualche anno fa per portare il cinema audiovisivo nelle scuole italiane, dai film ai materiali YouTube, per riflettere insieme sulle immagini della nostra vita quotidiana".
Qual è il successo di questa iniziativa?
"L'inversione della didattica tradizionale, appunto. Partiamo da una ricerca dei ragazzi che si autoformano tramite le immagini, questo li rende protagonisti di un progetto e di un'attività propria, originale".
Che accoglienza c'è stata da parte di studenti e professori?
"Dal 2011 a oggi abbiamo coinvolto più di 30.000 studenti, dal nord al sud. La cosa più interessante è che gli studenti e gli insegnanti portino avanti questo modello per realizzare al meglio il nostro progetto".
All'interno del libro Schermi in Classe - Media Literacy ed educazione alla cittadinanza, edito da Edizioni Gruppo Abele,si racconta quanto interviste, workshop e lavori personali abbiano contribuito al successo del progetto.
"Il libro è una sintesi di Giulia Tosoni e Roberta De Cesare che hanno analizzato il nostro progetto. La cosa di cui le ragazze si sono rese conto è che i ragazzi cambiano completamente approccio nei confronti delle fonti. All'interno della piattaforma possono condividere quello che vogliono, un articolo o un video, preso da YouTube o dalle Teche Rai. Alla fine riceviamo una marea di link provenienti da Wikipedia".
Che idee hanno sviluppato sulla mafia?
"I ragazzi hanno un pregiudizio. Non sanno che donne e bambini sono rimasti uccisi dalla mafia. Alla fine del progetto riescono a unire il pregiudizio al fatto storico, comprendendo meglio un fenomeno più complesso di quanto possa sembrare".
Parliamo di cinema. In Italia stanno chiudendo tante sale e crescono i social.
"Il cinema non sta scomparendo, sta assumendo forme diverse. C'è una divisione del cinema, da una parte prodotto - con formati o contenuti diversi - dall'altra evento, esperienza. Bisogna guardare in cambiamenti che sono in atto senza pregiudizi o paure".
Che tipo di progetti state portando avanti in Africa?
"Nel '99 sono state realizzate carovane di cinema itinerante nelle periferie del Mozambico. Quella che doveva essere un'esperienza isolata è divenuta poi fondazione. Ora stiamo promuovendo una campagna sul'Aids, ma affrontiamo anche altre tematiche come il nuovo diritto di famiglia e i diritti delle donne. In Senegal stiamo parlando di fenomeni migratori. Andremo anche in Uganda, Camerun e Costa d'Avorio".
Che strada senti di indicare ai ragazzi che vogliono cambiare il mondo con l'arte?
"Abbiamo avuto la fortuna di avere Ettore Scola come presidente onorario della fondazione. Mi permetto di rubargli una citazione. Bisogna andare nelle scuole non per parlare della mafia, ma per chiedergli quanto ci fosse di mafioso in loro. Un passo fondamentale per il proprio cambiamento interiore. Capire come migliorarsi e cosa cambiare di se stessi".
Un evento particolare che ti ha colpito, in questi anni?
"Nel 2011, durante uno dei nostri primissimi esperimenti, eravamo di fronte a 400 studenti. Un numero pazzesco. A un certo punto, in ultima fila, c'erano dei ragazzi con telefonino e cuffie in mano. Sono andato a sbirciare, chiedendogli cosa stessero facendo. Erano su YouTube a guardare video dello stesso regista di cui stavamo proiettando un film. Sembravano distratti, ma in realtà stavano approfondendo. La modalità di fruizione di un film per i ragazzi post 2000 è obiettivamente più facile rispetto a quella che avevamo noi da bambini. Possono costruire il loro punto di vista con estrema semplicità".