Il 5 marzo è stata una data spartiacque per le università italiane; il caos creato da quella che era la fresca emergenza Coronavirus non solo chiudeva tutti gli atenei del Paese, ma apriva scenari sconosciuti e incerti. Oggi siamo a quattro mesi da quel 5 marzo, e i nodi relativi alla ripartenza del mondo accademico sono ancora da sciogliere. Mentre la Ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina ha già varato un decreto sulla pianificazione della riapertura delle scuole, il titolare del Ministero dell'Università Gaetano Manfredi non è andato oltre qualche vaga dichiarazione. Il 14 luglio il Ministro ha affermato che a settembre verranno organizzate «lezioni in presenza con piani dettagliati che le università stanno curando per attenersi alle disposizioni sanitarie concordate con il Comitato Tecnico-Scientifico, il Ministero della Salute e dell’Università e la Conferenza delle Regioni».
Gli atenei si stanno quindi muovendo con molta autonomia, soprattutto pensando agli studenti provenienti da altre regioni, sia fuorisede che pendolari. Uno studio di Talents Venture ha infatti evidenziato come il prossimo anno accademico possa risentire di una notevole diminuzione delle iscrizioni, in particolare per queste due categorie. L'Università "La Sapienza" di Roma ha già deciso di correre ai ripari, prendendo in considerazione anche l'alto numero di studenti, che renderebbe difficile il rispetto delle norme di distanziamento: «Stiamo dotando tutte le aule di impianti di ripresa, in modo da garantire per il prossimo anno la modalità ibrida: una parte di studenti in aula e e gli altri da casa» ha dichiarato il rettore Eugenio Gaudio al Post.
L'opinione degli studenti
La "nuova normalità" delle università divide però gli studenti. Per Adriana, studentessa di psicologia a Perugia, la modalità telematica è tutt'altro che da archiviare: «Avere la disponibilità delle lezioni online è davvero comodo; organizzo meglio la mia giornata e ho più tempo per lo studio. Sarebbe davvero fantastico se fossero fruibili anche ad emergenza finita, farebbero risparmiare molto a noi studenti fuorisede». Francesco, che studia Lettere Moderne alla Sapienza, non è della stessa opinione: «nel mio caso, durante il lockdown, le lezioni telematiche erano tutte registrate e mai in diretta; facevo difficoltà a trovare i miei ritmi e non c'era alcun tipo di interazione con i docenti. Se a settembre si dovrà continuare così, spero che siano quantomeno in tempo reale». Alberto, al secondo anno alla Sapienza, rifiuterebbe la possibilità delle lezioni online anche se pendolare: «non andare all'università significa perdere la vita sociale che fa parte di questa esperienza e che comunque è essenziale per crescere. Stare a casa di continuo mi farebbe praticamente impazzire, sarebbe come non fare niente».
Contraddizioni
Ma non bisogna attendere settembre per rendersi conto di quanto l'università sia stata trascurata. In un momento in cui locali ad alto rischio di assembramento sono aperti in molte regioni - le discoteche in primis - gli esami universitari continuano ad essere svolti principalmente per via telematica, e le aule studio rimangono chiuse. «Ci troviamo sempre in un Paese che dà le priorità basandosi su interessi economici piuttosto che sull'utilità stessa delle iniziative», lamenta Sofia, studentessa di Roma Tre, «trovo assurdo che si possa fare di fatto assembramento in una discoteca, ma che mi venga impedito di studiare con tre amici in un'aula».
La mancanza di linee guida ministeriali per la ripartenza delle università può essere intesa in vari modi. Da un lato, permetterebbe alle diverse realtà accademiche italiane di organizzarsi in base al loro contesto, prendendo in considerazione in primis la capacità delle aule e il numero degli studenti. Da un punto di vista più burocratico, invece, si rischierebbe grosso: «Se ci fossero particolari problematiche o focolai, di chi sarebbe la responsabilità?», riflette Francesco. Nel dubbio, si spera che i nodi verranno sciolti nella pianificazione della Fase 4, sul tavolo del governo in questa calda estate di pandemia.