All’improvviso e senza preavviso, senza una pregressa preparazione o un cammino di formazione su come affrontarla. Non è stato semplice, come un salto nel vuoto all’inizio. Un bel giorno, un provvedimento piovuto dall’alto, in una situazione di comprensibile e giustificata emergenza, attraverso il quale le autorità competenti - la presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’Istruzione - hanno fissato la sospensione delle attività didattiche nell’ambiente fisico della scuola indicando a tutta la comunità scolastica, studenti e docenti in particolare, la possibilità di continuare le lezioni da casa con strumenti tecnologici. E, secondo quanto previsto dal Dpcm dell'8 marzo 2020, i dirigenti scolastici sono stati chiamati ad attivare, “per tutta la durata della sospensione delle attività didattiche nelle scuole, modalità di didattica a distanza”.
Non più, quindi, andare a scuola. Ma comunque continuare a ‘fare scuola’. Non è stato semplice avviare un discorso didattico ed una relazione comunicativa improntati all’uso di email, messaggi virtuali, registro elettronico, ambienti di apprendimento digitali che passano attraverso piattaforme e social vari, da whatsapp a google classroom, da Weschool a Skype e Google meet con approdo alle videolezioni in modalità ‘live’ oppure ‘on demand’.
Sono subentrati, tuttavia, in un secondo momento, l’entusiasmo, la gioia, il conforto che veniva dalla constatazione di poter abbattere il muro della separazione e dell’allontanamento forzato proprio attraverso la miriade di possibilità offerte dalla tecnologia. E così nell’etere sono partiti una serie di segnali, una serie di informazioni e lezioni di sintesi, materiali multimediali legati alle diverse discipline; un ponte virtuale, fatto di conoscenza e relazioni umane, costruito giorno dopo giorno dai docenti, e il cui obiettivo era quello di continuare a esserci, continuare a trasfondere il ruolo di facilitatore della conoscenza nella virtualità tecnologica.
I primi giorni saranno pur sembrati ai ragazzi una fase da vivere in una "holyday atmosphere" in cui, "che bello, finalmente ci si sarebbe potuti riposare lontani dai banchi di scuola e uscire, fare una vita sociale distensiva", ma col passare del tempo, e man mano che le misure del Governo si facevano più restrittive, la visione delle cose è cambiata: ed è apparso chiaro di essere entrati in un tempo caratterizzato dall’incertezza. E i ragazzi hanno avuto paura.
Ma proprio in quell’attimo di chiaro smarrimento, la scuola era lì. A dire loro: non siete rimasti soli. Tutto finirà. Ne usciremo insieme. E la possibilità di praticare una didattica a distanza ha aiutato tanto in questo tentativo di dire a tutti i nostri bambini, ai nostri ragazzi: "Siamo qui con voi". Non è stato un processo automatico però. È stato necessario riorganizzare il tempo scuola arrivando ad espanderlo nel corso dell’intera giornata al fine di garantire ai discenti una continua presenza ed una costante disponibilità. È stato necessario, per i docenti, rimettersi in gioco, formarsi in itinere seguendo webinar e momenti di confronto online al fine di capire quali potessero essere le migliori pratiche da adottare negli ambienti della classe virtuale.
Il bombardamento ininterrotto di compiti, spiegazioni, verifiche, che ne è seguito ha così rotto gli argini dell’abituale spazio fisico della relazione educativa docente/discente. E questo probabilmente ha colmato quel vuoto creatosi nella vita di tutti, ma in particolare dei bambini e degli adolescenti, che è venuto dalla necessità di rinunciare pian piano a tutte le possibilità aggreganti che la vita sociale solitamente offre in Italia: niente più poter andare in parrocchia all’oratorio, niente sport, niente incontri con gli amici al bar, niente quattro chiacchiere prima di entrare in classe e all’uscita da scuola.
Nulla può sostituire appieno ciò che avviene, in presenza, nella vita come in una classe, tuttavia con la didattica a distanza si è trattato e “si tratta pur sempre di dare vita a un ambiente di apprendimento, per quanto inconsueto nella percezione e nell’esperienza comuni, da creare, alimentare, abitare, rimodulare di volta in volta”, come si dice nella nota MIUR n. 388 del 17 marzo 2020. Lo sappiamo in tanti. E forse ora più che mai lo stiamo imparando tutti: nessuna tecnologia potrà mai sostituire la vita fatta di corporeità, di fisicità, di contatti ravvicinati, di odori, suoni, sapori, lagrime e sorrisi scambiati. La stessa scuola è “uno spazio sacro nel senso antropologico dell’espressione, cioè uno spazio in cui l’ essere umano vive un’esperienza forte, coinvolgente, che lo forma e lo segna indelebilmente nella sua crescita”, come ha scritto il 31.03.2020, su Orizzonte Scuola, Alfonso Indelicato, Responsabile della Comunicazione AESPI (Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante)...
...Ma in un’emergenza che ha dovuto chiedere ad ognuno di noi di rimanere a casa e di tagliare, in un certo senso, i rapporti, sicuramente il tentativo di mettere in atto una Didattica a Distanza ha sortito l’effetto di tenerci tutti un po’ più vicini. Anche nella consapevolezza, per citare la ministra Lucia Azzolina, che “Tutto quello che stiamo facendo in questo momento rappresenta un patrimonio che ci resterà e consentirà alla comunità scolastica di crescere e migliorarsi ancora”.