Trovare la lavanderia del dormitiorio - sempre gremita, rumorosa e anche sporca - completamente vuota e silenziosa, è stato il momento in cui mi sono scontrato con la realtà. La stragrande maggioranza degli studenti Erasmus è tornata a casa, intimorita da un male invisibile, il Coronavirus, che ha cancellato tutto ciò che quest'esperienza prometteva: vivere un'Europa senza frontiere, essere indipendenti, imparare, divertirsi.
Arrivato in Belgio lo scorso febbraio mai mi sarei aspettato di trovarmi nel mezzo di una pandemia mondiale. I casi erano ancora sporadici all'infuori dalla Cina, e molti virologi sostenevano che un'espansione del virus all'infuori dall'Asia fosse improbabile. A Roma i positivi erano due, a Bruxelles uno, per giunta guarito. La doccia fredda è arrivata circa due settimane dopo, quando il Nord Italia è diventato un focolaio e gli infetti hanno iniziato ad aumentare ovunque, anche in Belgio.
Nonostante tutto, la vita a Gent - la bellissima città fiamminga che mi ospita - andava avanti come se nulla fosse, con mia grande sorpresa. Gli studenti continuavano ad andare alle feste, le università erano aperte, e ho potuto addirittura comprare due flaconcini di disinfettante per le mani senza accendere un mutuo. Il governo belga non prendeva alcuna iniziativa di prevenzione degna di nota. I casi, però, continuavano ad aumentare. Il 18 marzo, all'alba di quasi 1500 positivi, la premier Sophie Wilmès ha annunciato l'imposizione di una quarantena su modello di quella italiana. Da quel momento è iniziato l'esodo degli exchange students, che hanno preferito lasciare Gent per tornare dalle loro famiglie.
Mai mi è passato in mente di fare lo stesso. Pur davanti a più di 10 mila casi, sono sempre stato razionalmente consapevole della ben superiore probabilità di contrarre il Coronavirus sui treni o sull'aereo, nonché transitando in due aeroporti. Credo infatti che chi sia tornato a casa non l'abbia fatto per la paura del contagio, ma piuttosto per sentirsi più umanamente protetto dalla propria famiglia. Una scelta che considero giusta e normale, soprattutto in un periodo come questo. Io ho voluto però sfidarmi: l'Erasmus significa anche questo, essere indipendenti, adattarsi a situazioni nuove in contesti non sempre semplici, e crescere capendo come affrontare le avversità di una vita lontana da casa. Molti hanno definito la mia scelta "coraggiosa", ma io non la ritengo tale. Lo sarebbe se mi sentissi in pericolo, ma so bene che la situazione, purtroppo, non sarebbe migliore a casa.
Qui a Gent mi sento bene, relativamente al sicuro, mi piace ciò che studio e paradossalmente adoro organizzarmi per affrontare quest'emergenza. Il mio obiettivo è quello di rimanere in Belgio fino al termine stabilito, dare qui gli esami e magari poter godere un po' di più di questa città splendida, pandemia permettendo. So bene che, nel momento in cui tornerò in Italia, sarò più grande, arricchito da quest'esperienza insolita e ancora più felice nel riabbracciare la mia famiglia e i miei amici, magari ad incubo finito.