Portare i giornali in classe, sperimentare vecchi e nuovi media per comprendere l’importanza di affidarsi a fonti di informazioni controllate e affidabili, approfondire l’attualità e la crossmedialità: la scuola superiore è chiamata dai fatti di cronaca a risvegliarsi dal suo torpore e a offrire agli studenti strumenti innovativi per saper leggere la realtà. Il progetto Giovani protagonisti dell’editoria, promosso da Mandragola Editrice e finanziato da Regione Lazio, si muove proprio in questa direzione e consente agli studenti del liceo Ripetta di Roma e del Carducci di Cassino di affacciarsi sulle varie sfaccettature del mondo dell’editoria. La strada sembra essere quella giusta, come rivela l’indagine Media e fake news che Ipsos ha realizzato per Idmo (Italian digital media observatory), l’hub nazionale partner di Edmo, task force europea contro la disinformazione nel 2022: più si abbassa l’età, più aumentano i controlli sulle informazioni online per verificarne l’affidabilità. Tra i giovani (18-30 anni), il 61% si accerta infatti di autori e link, il 56% fa comparazioni con altri indirizzi web, il 38% bada che il sito sia aggiornato. Percentuali che crollano se l’età è quella compresa tra 31 e 50 anni, e tra 51 e 64 anni. L’ultimo seminario del progetto è stato realizzato dal giornalista e docente universitario Gianni Lucarini che ci racconta l’importanza di portare simili esperienze nelle scuole.
Che valore ha il podcast come strumento educativo e didattico?
Personalmente ho cominciato anni fa a portarlo nelle università, prima alla scuola di giornalismo della LUISS e poi alla LUMSA: anche quest’anno, nel laboratorio di giornalismo radiofonico, abbiamo parlato del podcast, che è una rinascita della radio ma allo stesso tempo non è radio. Il suo valore aggiunto è quello di essere più vicino agli interessi tecnologici dei ragazzi e di rispondere a precise esigenze: nel tempo è diventato selettivo e più di approfondimento rispetto alla radio.
Cosa ci racconta il successo del podcast sulle tendenze della nostra società?
Forse c’è una curva che si sta invertendo: la nostra è una società dell’immagine ma il fatto che, anche grazie alla pandemia, si sia sviluppata questa tendenza all’ascolto, ci indica un ritorno alla riflessione personale e collettiva. Con il progetto Giovani protagonisti dell’editoria hai portato i tuoi laboratori nelle scuole secondarie.
Che diversità hai trovato rispetto all’università?
Non ho trovato una grande differenza ma nelle università c’è la tendenza di pensare in tempi più ravvicinati al proprio futuro. Lo studente di una scuola di giornalismo partecipa ai laboratori come formazione lavorativa, invece nelle scuole non c’è ancora un orientamento preciso. Ho trovato grande interesse e una curiosità più disinteressata.
Perché hai scelto di aderire a questo progetto?
Penso che il lavoro di portare la media literacy nelle scuole sia davvero importante, una vera rivoluzione che mi ha affascinato sin da subito. Condivido soprattutto l’intenzione di permettere ai giovani di spaziare tra i vari settori dell’editoria e di farlo con la pratica attraverso dei laboratori. È un progetto molto azzeccato.