“Gli Anni di piombo? Sono il centro dei racconti dei nostri padri e nonni”
A colloquio con il regista Fabrizio Marini: “Ciò che manca ancora è la serenità per interpretare alcuni fatti”
Roberto Bertoni | 2 maggio 2019

Gli anni di piombo per Fabrizio Marini? Sono sinonimo di storia, ma anche di passione e vitalità. Lo racconta a Zai.net durante un pomeriggio al “Mamiani”, storico liceo della Capitale, nell’ambito di un’iniziativa sugli Anni di piombo promossa dall’Archivio Flamigni. Un momento di confronto con docenti, studenti e il regista sull’intreccio fra letteratura, cinema, politica e tragedie.

 

La definizione “Anni di piombo” deriva dal titolo di un film della regista tedesca Margarethe von Trotta. Che cosa ha rappresentato quel decennio per il cinema italiano?

È una domanda complicata. C’è stata una rappresentazione abbastanza cospicua, di cui qualcosa è invecchiato mentre altre opere hanno mantenuto complessivamente un’incredibile attualità e vitalità. Alcuni film di quegli anni hanno acquisito il valore di documenti storici. 

 

Che differenza c’è tra i film di quegli anni dedicati alla rappresentazione in presa diretta dei fatti che stavano accadendo e i film successivi dedicati a quel periodo?

La distanza è un fattore essenziale, in quanto nel frattempo sono avvenute molte rielaborazioni ed è stata prodotta tanta letteratura. Senza dimenticare i processi che sono giunti a sentenza e le analisi dei fatti, compresi i più drammatici e sanguinosi, che sono state compiute. Lavorarci oggi consente di avere sia una distanza chiarificatrice sia una documentazione assai più ampia rispetto a quella di cui si disponeva negli anni Settanta.

 

Date le ripercussioni che continua ad avere sulle vicende contemporanee quel periodo può essere considerato ancora attualità o è già ascrivibile alla voce “storia”? 

Lavorando per Rai Storia, lo considero già storia. Tuttavia, bisognerebbe chiedere ai docenti se e come lo insegnano. Il processo di storicizzazione è già iniziato, ma a parer mio ciò che manca davvero è la serenità per interpretare determinati episodi.

 

Quale crede sia il livello di conoscenza e consapevolezza dei giovani in merito a quegli anni? 

Non ho il polso dei giovani di oggi, ma convivono in me due sentimenti contrastanti: da una parte, mi rendo conto che molte cose non le sappiano; dall’altra, ho la percezione di avere di fronte dei ragazzi con ottime capacità di ragionamento. Sicuramente mi danno fiducia, anche perché la loro mancata conoscenza di ciò che è avvenuto in quegli anni è responsabilità di coloro che dovrebbero insegnarglielo e invece non lo fanno. 

 

A tal proposito, come si spiega il fatto che gli Anni di piombo e quelli relativi al fascismo e alla Resistenza siano così gettonati in ambito letterario e cinematografico?

Quegli anni hanno una vicinanza, una riconoscibilità e una modernità del racconto che ne agevola la trasposizione. E poi sono le nostre basi, il centro dei racconti dei nostri padri e nonni. Pertanto, li consideriamo a ragione una parte di noi.