Leonardo Palmisano: "“La mia Mafia Caporale, contro omertà e indifferenza”
Lo scrittore ed etnografo ci parla del nuovo schiavismo e dà voce a chi non può difendersi
Gianni Bellu | 7 settembre 2018

Oggi si sente tanto parlare di ecomafia, agromafia, Mafia Capitale. Cos’è Mafia Caporale e perché scrivere un libro su di essa?

Ho costruito il sistema ipotetico Mafia Caporale come intreccio fra il caporalato – inteso come fenomeno dello sfruttamento illecito della manodopera – e le mafie – intese come i sistemi criminali tradizionali. Ho coniato il termine Mafia Caporale ancora prima che uscisse la legge che ha riconosciuto il caporalato come reato di mafia, perché volevo segnalare quanto l’uso della minaccia e dei dispositivi tipici della coercizione di carattere mafioso lo definiscano come tale. La mia teoria, in seguito, è stata comprovata dall’approvazione della legge sopra citata.

 

Ci parli del suo lavoro di etnografo e di come si è svolta la fase di ricerca per scrivere Mafia Caporale.

Ho una formazione di carattere francese maturata grazie al dottorato di ricerca in Tunisia, dove ho potuto studiare con un’équipe di geografi, etnografi e demografi.

Per quanto concerne Mafia Caporale ho prima definito il campo d’azione, ovvero i diversi settori produttivi, entro i quali si riscontrava maggiormente lo sfruttamento del lavoro; in seguito ho costruito un apparato di letture, di momenti vissuti e di approfondimento tramite i quali ho cominciato a definire il campo territoriale.

Una volta individuate le aree interessate dal fenomeno di Mafia Caporale, grazie a una rete di testimoni privilegiati, contatti e “ganci”, ho cercato testimonianze che fossero rappresentative di tutto quel sistema. Sono arrivato così a darne una precisa definizione.

 

Nel primo capitolo – dedicato alla sua regione: la Puglia – ha raccontato la storia di Dimitar, il piccolo schiavo che lavorava a Foggia. Questa città è stata sconvolta ad agosto da un terribile incidente, in cui sono morti alcuni braccianti. La popolazione civile ha organizzato dei cortei in difesa dei lavoratori sfruttati. Come sta reagendo e come si sta sensibilizzando, secondo lei, l’opinione pubblica sull’argomento?

Non si sta sensibilizzando e non sta reagendo. L’opinione pubblica della Capitanata si mostra sostanzialmente indifferente e insensibile, benché il fenomeno del caporalato sia noto a tutti.

Chiunque può osservare quotidianamente gli schiavi spostarsi da un luogo all’altro sui furgoncini, ma non c’è una presa di posizione da parte della cittadinanza larga.

Per fortuna piccoli gruppi che fanno volontariato, legati alla Caritas o ad altre organizzazioni umanitarie, si interessano alle vittime di questo sistema malavitoso. La maggior parte della popolazione non reagisce, come non reagisce contro i sistemi criminali presenti nella provincia di Foggia.

 

Schiavismo, nuovi schiavi, caporalato. Secondo lei, si può parlare di una nuova rotta degli schiavi? Una tratta che non porta più i prigionieri dall’Africa Centrale sino alle coste americane, ma di una rotta che dai Paesi dell’Est Europa e dell’Africa porta gli schiavi nei Paesi sfruttatori?

In realtà no, non assistiamo a una deportazione coatta. In Africa centrale c’è la volontà di fuggire dalla miseria e dall’impossibilità di raggiungere degli obiettivi, anche importanti.

La questione, se vogliamo, è forse anche più grave perché in questo momento la consapevolezza della schiavitù è nascosta.

L’Europa non racconta di essere un continente che chiede lavoro schiavistico e che introduce manodopera desiderosa di cambiare le proprie condizioni di vita dentro sistemi di sfruttamento, che fanno paura. C’è, quindi, un livello di ipocrisia ben più alto che durante il sistema schiavistico tradizionale.

 

Com’è cambiata e in cosa è rimasta la stessa l’Italia di Mafia Caporale, dalla pubblicazione del libro a oggi?

Il regime dello sfruttamento non è molto cambiato. Forse in alcuni casi la situazione si è aggravata, in altri è rimasto sostanzialmente inalterato, nonostante una maggiore attenzione da parte delle forze inquirenti e delle forze dell’ordine. È un sistema resistente, con fortissime collisioni, specialmente con la politica di carattere locale, soprattutto a livello regionale.

Mafia Caporale, come lavoro d’inchiesta, vuole risollevare e riattualizzare il tema. Per questo non mi sono concentrato solamente sul settore agricolo, come fu invece per Uomini e Caporali di Alessandro Leogrande, ma sono andato oltre. Naturalmente il sistema malato del mondo criminale ha preso delle contromisure e ha inviato ad alcune presentazioni anche delle figure interne al sistema dello sfruttamento per cercare di screditarmi. Indubbiamente non c’è riuscito.

Il sistema sano dello Stato, invece, si è limitato ad approvare la legge e muovere le procure. Non è intervenuto nel riequilibrio sui rapporti di forza nel mondo del lavoro.

 

Molte storie commuovono, suscitano profonda malinconia e senso di impotenza. Cos’ha provato nel sentire e raccontare queste storie? Ce n’è una che l’ha colpita particolarmente?

A me ha colpito moltissimo sia la storia del bambino bulgaro Dimitar sia la storia delle tante ragazze che vengono sessualmente sfruttate dal sistema mafioso nigeriano.

Ho provato rabbia di fronte alla situazione di tante persone che, con un salario un po’ più alto, avrebbero potuto permettersi un margine più ampio di libertà. Rabbia, perché non viviamo in un Paese poverissimo o in una dittatura, ma in un Paese che ha deciso di abbracciare la schiavitù e il neo-schiavismo come motori interni al mercato del lavoro.

 

Ci parli dei suoi progetti futuri e dei nuovi libri o inchieste che ha in programma.

È stato pubblicato pochissimo tempo fa Tutto Torna, primo romanzo giallo di un lungo ciclo, che probabilmente diventerà una serie tv o un film, sempre in collaborazione con Fandango. Il protagonista è un personaggio banditesco contemporaneo, attraverso il quale ho deciso di costruire un racconto ambientato nel mondo dei sistemi criminali pugliesi e non soltanto. In questo momento sto anche concludendo un’inchiesta sul sistema mafioso nigeriano. Diventerà presto un libro, pubblicato probabilmente l’anno prossimo.