La cultura e l’apertura mentale di Aldo Tortorella sono un qualcosa di straordinario. Nonostante abbia superato i novanta, è ancora lucidissimo e non smetterà mai, crediamo, di battagliare in difesa dei diritti degli ultimi e dei deboli: le ragioni politiche e civili di una vita spesa al servizio della sinistra e dei propri ideali di libertà e uguaglianza.
In quest’intervista, egli riavvolge il nastro dell’ultimo trentennio ed è un piacere confrontarsi con le sue riflessioni, al tempo stesso antiche e modernissime.
Lei sull’ultimo numero di “Critica marxista” si è interrogato su quale possa essere la spinta propulsiva del tempo presente. La vede questa spinta propulsiva nella sinistra contemporanea?
A sinistra ci sono diverse forze politiche. Alcune di esse stanno recuperando questa spinta: mi riferisco in particolare a Liberi e Uguali, che ha avuto il coraggio di superare le proprie esperienze pregresse per dar vita ad un soggetto di sinistra. Io avrei preferito un concentramento totale delle forze di sinistra ma accontentiamoci: dopo tanto penare, va bene così. Ci sono state molte illusioni legate al Partito Democratico, invece si è visto che quel soggetto ha una vocazione centrista: niente in contrario nei confronti dei centristi ma urge una sollecitazione da sinistra!
Diciamo che ha un po’ esagerato con il centro!
Quasi tutti tendono al centro, ma la situazione attuale è che una parte delle forze di destra, che un tempo propendevano per il centro, oggi si sono spostate ancora più a destra mentre, non solo in Italia, le forze di sinistra si spostano verso il centro, pertanto siamo in una situazione in cui servono delle forze di sinistra autorevoli.
Lei ha visto compilare tante liste elettorali: che giudizio dà su ciò che è accaduto questa volta in merito?
Non è vero che sia sempre andata così. Nella cosiddetta Prima Repubblica, i candidati venivano scelti, ovunque, con larga partecipazione dei territori e delle unità di base: era molto difficile imporre dei candidati che non fossero ben graditi dalle organizzazioni locali. Adesso, invece, in nome della cosiddetta apertura alla società civile, questi partiti quasi privi di struttura vedono i partiti egemonizzati dai capi di turno.
È anche colpa di questa legge elettorale?
Questa legge elettorale ha senz’altro favorito questa degenerazione, in quanto le coalizioni forzate e l’assenza del voto disgiunto come in Germania producono uno strapotere dei capibastone, con la conseguenza che abbiamo delle liste per lo più composte da obbedienti.
Ha qualche rimpianto legato alla Prima Repubblica, la famosa “Repubblica dei partiti”?
Io sono molto consapevole degli errori compiuti da tutti i partiti della Prima Repubblica, ingabbiati nel contesto della Guerra fredda e dunque costretti a non potersi esprimere del tutto liberamente. Tuttavia, quei partiti avevano delle forme di comunanza che sono state soppresse e abolite in nome della scomparsa delle ideologie, favorendo così l’ideologia unica del denaro. I democratici cristiani di un tempo, per dire, avevano una fede piuttosto sentita, anche autentica: i seguaci di Dossetti non erano i seguaci di Scelba. E la stessa cosa succedeva nel PCI, con sensibilità diverse ma una comunanza di sentimento che andava al di là dei canti e delle bandiere e riguardava, invece, un sentimento di giustizia nella libertà. Queste comunanze sono state spezzate, favorendo il trionfo dell’egoismo proprietario e dell’invidualismo aggressivo e possessivo e questa è un’ideologia pessima che favorisce questi partitini senza una struttura portante, rendendoli delle agenzie elettorali molto rissose al proprio interno e prive di un’anima.
Forse è anche per questo che lei non fu tra i sostenitori della Svolta della Bolognina? Ne vedeva già allora le possibili pecche?
Non fui da solo. Noi della “Mozione del no” non eravamo contrari in assoluto ma eravamo per un altro tipo di Svolta: una svolta che preservasse la comunità che si era creata intorno a dei valori morali condivisi e a dei sentimenti profondi che costituivano un tessuto utile non soltanto al partito ma alla Nazione nel suo insieme. La presenza di una forza coesa come la nostra costituiva un aiuto importante per la democrazia. Senza una riflessione autentica sugli errori, non si fu capaci di distinguere fra ciò che c’era di positivo e ciò che c’era di negativo al nostro interno, generando un processo che non poteva che condurci dove siamo adesso.
Lei prima ha ricordato Dossetti. Con un dossettiano come Beppe Chiarante, nel ’98, ha dato vita all’ARS, l’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra: per quale motivo la sinistra, anziché rinnovarsi, ha preferito di fatto snaturarsi? Di chi sono le principali responsabilità di tutto questo?
Il problema è che in queste questioni che riguardano sia la politica che la riflessione sulla realtà, quando si sbaglia una virgola, si sbaglia tutto. Il fatto che si sia venuto disperdendo il patrimonio della sinistra democristiana e della sinistra rappresentata dal Partito comunista e dal Partito socialista ante-Milano da bere, il fatto che queste tradizioni si siano disperse per il prevalere nella società, e di conseguenza nei partiti, della spinta proveniente dall’involuzione dello stesso sistema capitalistico, è stato una catastrofe. Non abbiamo più un sistema capitalistico fondato sull’impresa ma sulla finanza, il che, con l’avanzare delle nuove tecnologie, ha provocato un allentamento dei vincoli un tempo presenti all’interno delle classi sociali, di fatto provocando una mancanza di riflessione sulla nuova composizione di classe della società, fino all’assurdità di negare l’esistenza stessa delle classi sociali e la necessità dello scontro fra le medesime. Ovviamente, la parte più debole è risultata soccombente: i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.
C’è stato un difetto di analisi della realtà da parte sia delle correnti di sinistra del pensiero cristiano e cattolico sia delle correnti del pensiero socialista. Questo rinnovamento del sistema non era tale: era una degenerazione del medesimo. E la fine dello scontro sociale e della lotta per la giustizia ha accelerato il decadimento dei valori all’interno dell’una e dell’altra forza, facendo sì che il PD vedesse unite varie debolezze ideali e morali, fino a produrre un nuovo centrismo e una ricerca asfittica del consenso da parte dei settori più abbienti della società.