Era un uomo curioso, Vittorio Foa, uno di coloro che avevano capito il PCI e la sua specificità pur non essendo mai stato comunista. È scomparso dieci anni fa, all'età di novantotto anni, dopo aver attraversato un secolo complesso e controverso da ebreo torinese, nipote del gran rabbino Giuseppe Foa, figlio della buona borghesia che studiava al D'Azeglio, intriso di quella cultura azionista di cui Bobbio fu probabilmente l'alfiere e di cui Foa ha costituito la testimonianza vivente nonché il custode geloso negli anni tragici del fascismo e delle innumerevoli sofferenze che esso gli inflisse.
Incarcerato a causa di una denuncia dello scrittore pornografo Dino Segre, meglio conosciuto come Pitigrilli, affrontò con straordinaria dignità le umiliazioni del regime, partecipando in seguito alla redazione della Costituzione da deputato azionista all'Assemblea Costituente e divenendo poi una coscienza critica della sinistra, la sua vera anima, capace di coniugare una cultura fuori dal comune con un movimentismo sempre volto ad includere, a far crescere i giovani, ad accoglierli, a renderli pienamente protagonisti della vita democratica e civile, a educarli con la passione e l'esempio piuttosto che con tante inutili prediche, peraltro spesso ipocrite.
E poi c'era in lui il tema della memoria, sempre presente, lancinante, vivo: la memoria come una materia viva, profonda, incandescente, come una bussola per esplorare il presente e immaginare il domani, lui che anche a tarda età aveva una voglia matta di comprendere, di scoprire, di confrontarsi con un mondo in costante e repentina evoluzione.
Sapeva anche condannare, Foa, sapeva essere caustico, irriverente, a tratti persino spietato nei giudizi ma mai cattivo, mai irrispettoso, sempre volto alla conoscenza dell'altro e delle sue idee, aperto al dialogo e al confronto con tutti. Queste caratteristiche, probabilmente, gli derivavano dal suo lungo impegno sindacale che, unito a quello politico, lo hanno reso uno dei protagonisti più affascinanti del Secolo breve.
"Vorrei essere stata una tua coetanea" gli disse una volta una nipotina, e il suo commento fu: "Nessuno mi aveva mai detto una così dolce parola di solidarietà".
L'uomo che ha conosciuto due guerre mondiali, innumerevoli lotte, l'amarezza del disincanto e più volte l'orrore da vicino, l'uomo che è stato capace di magnifiche riflessioni e prolungati silenzi, il guerriero di mille battaglie ora riposa. Eppure continua a vivere: nel nostro ricordo e nella nostra gratitudine. Senza perdere la tenerezza.