Cento classi coinvolte, una sola classe per scuola partecipante. Così, la scuola superiore per qualche migliaia di alunni italiani durerà quattro anni, anziché cinque come tradizione vuole. Gli Istituti Superiori, statali o paritari, potranno inoltrare domanda fino al 30 settembre, dopo che sul sito del Miur sarà comparso l’avviso ufficiale per la sperimentazione che partirà nell’anno scolastico 2018/2019. Sarà una commissione tecnica, come spiega il ministro Valeria Fedeli, a valutare le domande pervenute. I criteri: livello di innovazione dei piani di studio, utilizzo delle tecnologie, uso della metodologia Clil (lo studio di una disciplina in una lingua straniera), continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, con il mondo del lavoro, con gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici. ‘’Non un nuovo indirizzo di studi, ma una sperimentazione metodologica’’ fanno sapere dal Ministero. “L’esame di Stato e il diploma finale rimangono identici. La reale sfida è capire se in quattro anni si possono conseguire gli stessi traguardi formativi di un ciclo di studi quinquennale’’. E, pur mancando la definitiva approvazione della Corte dei Conti e la pubblicazione ufficiale, sembra che ormai sia deciso. Un passo in avanti nella sperimentazione che ci allineerebbe, quindi, con la durata dei percorsi scolastici del resto d’Europa (Gran Bretagna, Francia, Spagna, Portogallo, Ungheria), ma che potrebbe costringerci a una notevole costrizione dei nostri saperi e allo stesso tempo potrebbe risultare come un tentativo di “europeizzare” la scuola italiana, ancora modello inconsapevole proprio per quei Paesi che questa riforma vuole imitare. Che l’ufficializzazione della notizia, quindi, abbia suscitato non poco scalpore era intuibile. Del resto dal Ministero, dal canto loro, rassicurano i più scettici dicendo che ‘’la sperimentazione prevederà il potenziamento dell’orario, sarà presidiata dal Ministero stesso con la capillare vigilanza degli ispettori e agirà anche da contrasto all’abbandono scolastico’’. Si sarebbe infatti notato che l’abbandono scolastico coinciderebbe con la conclusione del quarto anno. Nonostante questo, però, ridurre gli anni di scuola, piuttosto che combattere il fenomeno dell’abbandono in sé, agli occhi di molti sembra una resa da parte del Ministero: in buona sostanza, eliminare il quinto anno cosicché lo saltino tutti.
Noi di Zai.net allora siamo andati tra i banchi di scuola e abbiamo intervistato gli studenti tra i 14 e i 18 anni per capire cosa ne pensano della sperimentazione. ‘’Nel complesso, non sono convinta, né soddisfatta dalla proposta della riforma.’’ ci dice una ragazza. ‘’Stando dentro la scuola, vi assicuro che talvolta non bastano neanche i cinque anni ordinari per prepararci a quello che l’università e il lavoro ci chiedono. Ho la sensazione che il Ministero potenzialmente per rendere più competitiva la nostra scuola possa fare di più che limitarsi a diminuire gli anni di frequenza e modificare un sistema di per sé valido.’’ A fronte di questo, un altro ragazzo rivela invece ‘‘Io non mi tirerei indietro se la mia classe fosse tra quelle partecipanti. Anzi, ne sarei entusiasta. Un cambiamento del genere non è da considerarsi necessariamente negativo, a patto che vengano certamente adeguati i programmi e incrementate le lezioni mattutine, ma anche pomeridiane.’’
Intanto già alcuni studenti, come quelli del Liceo B. Telesio di Cosenza, hanno protestato contro la riforma e i cambiamenti che quest’ultima apporterebbe al sistema scolastico. Tantissime le perplessità, a partire dal fatto che riducendo di un anno la durata della scuola saranno aumentate le ore annuali di frequenza. Studenti e professori potrebbero essere costretti a una sfrenata corsa contro il tempo per riuscire a portare a termine i programmi scolastici senza contare che, aggiungendo alle lezioni l’obbligo di svolgere 66 ore annuali di lavoro, il rischio è quello di accumulare stress e tensione, ridurre il tempo da dedicare a sport ed altre attività libere e soprattutto mettere a rischio la possibilità di assimilare i contenuti che si sono studiati, nei giusti tempi che richiede l’apprendimento. La Ministra ha dichiarato a Radio 1, infine, facendo presagire una scelta condizionata dall’esito di questo giro di prova, che “al termine della sperimentazione, nel 2023, i risultati dovranno essere discussi con tutti i rappresentanti del mondo della scuola e con i decisori politici per realizzare il massimo di consenso possibile. Proprio perché non devono mai esserci sulla scuola improvvisazione, decisionismo senza coinvolgimento, discriminazioni o scelte astratte e ideologiche. Se la valutazione avrà esito positivo, sempre nell’ottica di un maggior investimento sulla formazione delle nuove generazioni, si potrà recuperare l’intera riforma dei cicli e, contestualmente, anche portare l’obbligo scolastico fino al termine dei tre cicli, ovvero fino al diciottesimo anno di età”.
Una sfida importante, quindi, per il Governo, ma anche per le tradizioni della scuola e del sapere italiano. Un esperimento a cui saranno le scuole stesse a rispondere. Ma soprattutto una prova che avvicinerebbe l’Italia ai modelli europei, rispetto ai quali tanto ci sentiamo lontani, ma che pur dovrebbe tener conto dello standard di qualità del nostro sistema di istruzione.