Disprezzo, offese gratuite, violenza verbale. Chi frequenta i social network sa perfettamente a cosa ci riferiamo. Secondo i dati raccolti dall’osservatorio attivato presso la Presidenza del Consiglio, Dipartimento per le Pari Opportunità, sono 7.000 i discorsi di odio che ogni giorno vengono registrati sul web. A riferirlo è Maria Elena Boschi, nel suo intervento ai lavori del convegno del Consiglio Nazionale Forense a Roma su “Sicurezza e linguaggio dell’odio. Tutela della persona e protezione dei dati personali: i diritti nell’era dei social media”, al quale hanno partecipato anche i rappresentanti delle Avvocature del G7 e la Presidentessa della Camera, Laura Boldrini. Si tratta di un’enorme quantità di insulti sessisti, omofobi, razzisti, xenofobi, tutti mescolati in un enorme calderone nel quale i soggetti interessati (o per meglio dire le vittime) nel migliore dei casi sono aggrediti verbalmente, oppure sono oggetto di commenti volgari e a sfondo sessuale o ancora sono minacciati. Neanche a dirlo, i soggetti più bersagliati sono soprattutto le donne e le cose peggiorano se queste donne sono straniere, appartengono a particolari etnie o religioni oppure ricoprono incarichi pubblici e di prestigio. L’involuzione culturale a cui assistiamo ogni giorno sarà forse figlia di una presunta libertà di dire quello che si vuole? Il territorio degli insulti e della diffamazione è probabilmente percepito dai frequentatori abituali del web come una zona franca, nella quale ognuno può dare sfogo alle proprie frustrazioni e magari dire cose che non si sognerebbe mai di affermare faccia a faccia. È un po’ come se il monitor del pc creasse un utilissimo scudo che nasconde la faccia di chi lancia l’insulto, anche se in realtà non cela del tutto la sua identità. Leoni da tastiera sul web, conigli nella vita reale.
ESISTONO LE REGOLE?
Fino ad ora l’unica iniziativa per regolamentare il Far West del web era la Carta dei diritti in Internet redatta nel 2015 dalla Commissione per i diritti e i doveri relativi ad Internet. Il documento però rappresenta solo una dichiarazione d’intenti e non ha valore giuridico vincolante. Il secondo passo, il 10 maggio 2016, è stato l’istituzione della commissione “Jo Cox”, presieduta dalla Presidentessa della Camera, che ha il compito di condurre attività di studio e ricerca su temi come l’intolleranza, la xenofobia, il razzismo e i fenomeni di odio anche attraverso audizioni. L’iniziativa più recente è invece quella annunciata da Laura Boldrini durante il Consiglio Nazionale Forense a Roma su “Sicurezza e linguaggio dell’odio”. Si tratta del lancio del primo grande progetto di educazione civica digitale, che coinvolgerà oltre alle due Commissioni Internet, il Ministero dell’Istruzione e altri soggetti tra cui Facebook, Google, la Rai, la Fieg e Confindustria. I partner sono importanti e la presenza del colosso di Mark Zuckerberg lascia sperare che Facebook si decida finalmente a collaborare più intensamente con la polizia postale e la magistratura e che, in un futuro non troppo lontano, sia possibile eliminare commenti offensivi e volgari, segnalandoli quando è il caso alle autorità competenti. Laura Boldrini, che in questi mesi si è data molto da fare per accendere il dibattito sulla questione anche organizzando incontri nelle scuole, ha lanciato l’iniziativa come strumento perché i giovanissimi imparino ad usare consapevolmente il web e soprattutto a difendersi da tutti i suoi rischi.
FAKE NEWS: SONO SOLO BUFALE?
Il discorso della Presidentessa della Camera al convegno “Sicurezza e linguaggio dell’odio” ha anche toccato un altro tema: le fake news. Derubricate con leggerezza al rango di semplici falsità o notizie infondate, le fake news sono una realtà in continua evoluzione e alimentano un mercato che movimenta grandi somme di denaro. Il meccanismo è semplice: si pubblica una falsa notizia con un titolo urlato, altisonante ma falso, e coinvolgente in grado di scandalizzare o indignare chi legge. Il lettore ignaro condivide e apre il link, generando traffico sulla pagina web che ospita la notizia falsa. Click uguale denaro.
La connessione tra le fake news e lo scatenarsi dei commenti offensivi è evidente: chi non controlla le fonti, chi si fida di titoli sensazionalistici senza vagliare la provenienza delle notizie, diventa facilmente preda di “bufale” che possono fomentare reazioni istintive, poco ragionate, e nella maggior parte dei casi guidate da sentimenti di rabbia e di odio.
E c’è di più. Come avvenuto in diverse occasioni, la diffusione di notizie false può avere eccezionali conseguenze negative anche sul piano politico o economico. Di recente pare che anche la campagna elettorale per le elezioni americane, che ha portato alla vittoria di Donald Trump, sia stata oggetto di manipolazione dovuta proprio alla diffusione di notizie false e infondate tanto che molti americani sono ancora convinti che grazie alle fake news, diventate virali su Facebook, il tycoon abbia vinto le presidenziali. Zuckerberg si è affrettato a smontare l’ipotesi e ha promesso che presto Facebook si doterà di un sistema per riconoscere e penalizzare i contenuti falsi. La contromisura prevede una routine di segnalazione del contenuto, una verifica e poi un’eventuale rimozione o applicazione di una label che indica la notizia come falsa. Inefficace? Probabilmente sì, visto che chi frequenta il web conosce la velocità con cui una notizia falsa diventa virale e raggiunge milioni di persone. Il rischio è che quando Facebook avrà finalmente etichettato un contenuto come fake, oramai troppe persone lo abbiano considerato vero e attendibile.
E che dire di quando una notizia falsa mina la reputazione di qualcuno? È questo il caso di Fabrizio Bracconeri, attore che in passato è stato criticato per alcune sue esternazioni discutibili sui social. Questa volta però non era opera sua. Un troll (uno studente che ha creato un profilo falso fingendosi Bracconeri) ha infatti scritto dei tweet molto offensivi nei confronti della Ministra Cécile Kyenge e della Presidentessa della Camera Laura Boldrini. Pioggia di insulti e polemiche su Bracconeri, che però non era l’autore di quelle offese e ha chiesto pubblicamente che il troll sia bloccato e punito.