Sono passati già 28 anni dalla sua morte e oggi lo ricordiamo come uno dei geni più dirompenti del fumetto contemporaneo.
Andrea Pazienza, artista vissuto negli anni della contestazione bolognese descrive ciò che vede e ciò che sente immedesimandosi nei suoi personaggi. Soprannominato Paz, esordì nel ‘77 con Le avventure di Pentothal, le sue storie più importanti sono quelle incentrate su Pompeo e a Zanardi. In seguito si occupò anche di satira politica.
Pazienza raccontava la realtà, a volte in stretta connessione con l’attualità, usando un linguaggio fuori dal comune che univa e armonizzava il gergo giovanile, i dialetti e la lingua letteraria spesso attraverso l’uso dell’ironia.
Prediligeva scrivere pensieri piuttosto che dialoghi, dipingendo un mondo non razionalizzato, fatto ancora solo di immagini, di sensazioni fisiche e di frasi apparentemente prive di senso che spuntano dall’inconscio, spesso saltando i nessi logici con il contesto del racconto.
La variazione continua degli stili rappresenta il cambiamento degli stati d’animo che l’artista esprime non solo poeticamente ma anche pittoricamente.
Infatti, oltre ad essere un poeta Pazienza era anche un pittore che cercava di curare i disegni nei minimi dettagli affinché questi fossero perfetti nella loro apparente semplicità.
Dopo la sua morte, Benigni lo celebrò in un articolo apparso sul Corriere della Sera: «[…] Andrea era vicino a tutte le età; poteva essere un bambino e un vecchio, una donna e un uomo, un animale o una biro. Era eclettico ed anche molto bello: aveva la gioia di vivere negli occhi».
L’influenza di Paz nella storia del fumetto italiano ha permesso di superare l’idea che questo genere fosse soltanto una forma minore di intrattenimento, dimostrando così che si adatta ad ogni tema e ad ogni linguaggio.