Si dice che la generazione dei Millennials sia sfiduciata dal sistema scolastico e lavorativo italiano. Da questo scaturisce la celebre “fuga di cervelli” temuta dalle vecchie generazioni e che minaccia di rendere l’Italia un paese over 30.
I ragazzi descritti dai media italiani sembrano non avere intenzione di sanare un Paese in crisi con le loro capacità, ma di andare ad accrescere l’economia estera.
Voi ci credete? Fino a qualche giorno fa la nostra risposta sarebbe stata sì.
Sicuramente, non ci saremmo mai aspettate le reazioni di un gruppo di studenti universitari che ci ha concesso qualche domanda.
Sembra che i più scoraggiati dal sistema educativo e lavorativo italiano non siano, come ci viene detto, i Millennials, ma i loro genitori e la generazione ancora precedente. A sentir loro, i neo-universitari, figli di una recente crisi economica, saranno costretti a ripartire da zero. Loro stessi non fanno altro che sentirsi ripetere quanto il futuro dell’Italia sia nelle loro mani, che devono pensare alla loro scelta lavorativa, alle possibilità che promette un qualsiasi Paese estero che non sia l’Italia, quanto fosse migliore la vita nei tempi andati.
Tutto questo pesa sulle spalle dei neo-ventenni che sembrano dover riparare gli errori dei loro genitori e dei loro nonni e che dai media vengono accompagnati da un pessimismo demoralizzante.
Eppure la nostra versione dei fatti non coincide affatto con quella che ci è sempre stata ripetuta.
Per fare un esempio, il 77% dei ragazzi che abbiamo intervistato ha affermato di aver scelto la propria facoltà per pura passione personale, molti di loro già consapevoli delle poche opportunità di lavoro che questa prometteva. Questo non vuol dire affatto che la paura della disoccupazione sia sfumata, anzi: ben il 46% ha dichiarato di essere spaventato dal proprio futuro - in particolare i ragazzi che studiano le materie umanistiche - ma quella stessa percentuale sostiene che questo timore non ha influito, al momento di scegliere, sul proprio percorso di studi.
ltro dato sorprendente è la grande coerenza. L’81% dei ragazzi è convinto degli studi che ha intrapreso e ha intenzione di trovare lavoro in quell’ambito; solo il 28% cambierebbe. Gli studenti universitari non ci sono sembrati per niente afflitti dalla crisi, né desiderosi di lasciare il proprio fallito Paese per andare a vivere da tutt’altra parte. Anzi, alla domanda se preferissero rimanere in Italia o partire per l’estero una volta laureati, il 63% ha affermato di voler restare. Chiedendo poi se considerassero buone le università italiane, il 60% ha risposto di sì, il 20% ha risposto che dipende dalle facoltà e un altro 20% ha risposto di no, parlandoci della disorganizzazione del sistema che sembra considerare gli alunni solo come numeri. La cosiddetta “fuga di cervelli” sembra, a questo punto, quasi una leggenda.
L’ateneo nello specifico è ricercato più per la reputazione della facoltà (72%), il 27% lo ha scelto per la nomea all’estero e solo l’1% per la vicinanza a casa.
Abbiamo poi chiesto ai ragazzi se fossero consapevoli del fatto che a fronte di 22 milioni di disoccupati in Europa, ci fossero 2 milioni di posti vacanti in ambito scientifico. Uno studente di geologia ritiene che l’Europa sia un continente che non investe abbastanza nella ricerca scientifica. Una studentessa di lettere moderne ha osservato come in realtà i posti di lavoro vacanti non siano solo in ambito scientifico, ma anche in settori diversi che vengono ignorati dai cittadini, probabilmente in quanto poco motivati alla vera ricerca di un posto di lavoro. Una studentessa nella facoltà di economia ci ha rivelato di credere che ci sia una profonda mancanza di comunicazione tra disoccupati e datori di lavoro. Tale disinformazione lascia i cittadini alla mercè della crisi economica e incapaci di guardarsi intorno per cercare una soluzione.
Che ci sia una crisi non ci sono dubbi e di questo sono consapevoli gli stessi studenti. Tutto sta nel distinguere chi vede l’Italia come una nazione che ha alle spalle un prospero passato e non promette un medesimo futuro e chi, nonostante la pressione dell’insuccesso, crede ancora nel proprio Paese.