Secondo recenti dati ISTAT, nel 2015 una donna su tre nel mondo ha subito un femminicidio. Ma cosa significa esattamente femminicidio?
Non si intende la sola uccisione, ma una qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne per motivi basati sul genere, allo scopo di imporre la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso la sottomissione fisica o psicologica.
Negli ultimi dieci anni questa forma di violenza è passata da denuncia sociale a riconoscimento giuridico internazionale.
La matrice della violenza contro le donne può essere rintracciata ancor oggi nella disuguaglianza dei rapporti tra uomini e donne. E la stessa Dichiarazione adottata dall’Assemblea Generale Onu parla di violenza contro le donne come di “uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”.
In Italia, a partire dal 2014 c’è stata una progressiva diminuzione di femminicidi. Infatti nel 2013 erano aumentati fino a 179, mentre nell’anno successivo sono scesi a 136. Dall’inizio di quest’anno ci sono stati oltre 30 femminicidi. C’è effettivamente una diminuzione, anche se in regioni come ad esempio la Lombardia, continua leggermente a crescere o si mantiene costante.
Negli ultimi anni in Italia e nei Paesi più sviluppati si sta cercando di prevenire queste violenze, a partire dall’educazione che attraverso programmi scolastici dovrebbe eliminare ideologicamente queste differenze di genere.
L’Oms ha dichiarato che per ottenere un cambiamento duraturo è importante adottare una legislazione e sviluppare politiche che eliminino qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle donne e promuovano l’uguaglianza di genere. Da alcuni anni invita l’Italia ad assumere un ruolo guida: «È stato uno fra i primi Paesi a ratificare la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), entrata in vigore nell’agosto 2014».