I ragazzi affezionati ai compiti
I ragazzi affezionati ai compiti
Indagine fra studenti di un liceo marchigiano
Andrea Parato | 11 marzo 2016

Quando qualsiasi studente, di qualunque età, sente pronunciare la parola compiti, è inevitabile che la associ all’immagine di quel solito boccone troppo grande che fatica a scendere nella gola. E non basta un sorso d’acqua per liberarsene: nella vita di uno studente i compiti a casa significano ore - ed energie - spese davanti ai libri nella speranza di ricordare un nome, una data o una formula da poter riutilizzare l’indomani, magari con l’auspicio di un bel voto. 

Ma se ci sembra impensabile una scuola senza compiti a casa, c’è chi ne ha fatto una vera e propria battaglia: sulla piattaforma Change.org è stata lanciata infatti la petizione “Basta compiti”, che mira appunto all’ abolizione dei compiti a casa per gli alunni frequentanti la scuola dell’obbligo. Le motivazioni spaziano dai danni psico-fisici che questi comporterebbero, quali stress, disagi emotivi, fino a chiamare in causa leggi internazionali, come l’articolo 24 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo che prevede il diritto al riposo e allo svago. 

Noi abbiamo voluto interrogare – stavolta senza voto – studenti e insegnanti su questo tema, ponendo la fatidica domanda: “Sei d’accordo ad eliminare compiti a casa”? La risposta non è stata così scontata.

Alcuni ragazzi hanno riconosciuto l’efficacia del lavoro extrascolastico, giudicandolo fondamentale  per il consolidamento dei contenuti appresi durante le lezioni: «Come potremmo fermare nella nostra mente le nozioni apprese a scuola? I compiti da questo punto di vista sono fondamentali, soprattutto nelle materie scientifiche e direi necessari in prossimità di una verifica». Dal parere degli intervistati si evince inoltre un’opinione comune: i compiti come strumento di sensibilizzazione verso le responsabilità individuali di ciascuno studente: «I compiti a casa indirizzano da subito i ragazzi alla responsabilità verso il dovere», commenta Lucrezia. In questo senso, la valenza del lavoro a casa risulterebbe funzionale a tenere viva la consapevolezza del dovere allo studio che ogni giorno ci spinge a varcare le soglie delle aule.  

Per altri ancora studiare non si identifica nell’imposizione della scuola sulla spensieratezza giovanile, diventa invece mezzo di comunicazione con il naturale bisogno di sapere. Quest’ottica, in cui lo studente si sente partecipe della propria formazione culturale, viene condivisa da alcuni insegnanti intervistati, che sottolineano come «i compiti a casa, per esprimere la loro completa efficacia, devono essere accolti dalla necessità di apprendere che nasce come desiderio spontaneo nel ragazzo». La petizione, che fino ad oggi ha raccolto oltre diecimila persone, non trova tutto il popolo scolastico d’accordo. Non che i compiti siano vissuti come uno svago: si riconosce quanto lo studio fuori dall’aula sia impegnativo, limitante per lo svolgimento di altre attività formative, ma tutto ciò non è abbastanza affinché si senta l’esigenza di abolirlo del tutto, considerato il suo valore nel percorso di studi. Insomma, nonostante innovazioni didattiche, rivoluzioni tecnologiche compiute o annunciate, alcuni capisaldi della tradizione sembrano davvero resistere. Forse perché, dopotutto, i bocconi più ingombranti sono ancora i più sostanziosi.