Una delle battaglie più ardue e complesse degli ultimi anni è la lotta ai cambiamenti climatici. È facile comprendere come da qualche tempo a questa parte la situazione meteorologica del pianeta stia cambiando e stia a sua volta trasformando il paesaggio e gli ecosistemi in esso inseriti. Il surriscaldamento globale è ormai un problema serio e ha attirato su di sé l’attenzione di numerosi esperti e organizzazioni internazionali.
LA RIVOLUZIONE DI PARIGI…
Lo scorso dicembre si è tenuta la 21° sessione annuale della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, COP21, a Parigi: si è trattato di un momento di confronto fra i rappresentanti di 196 Paesi che ha avuto lo scopo di giungere ad un accordo globale sulla riduzione dei cambiamenti climatici. Si è arrivati a concordare un mantenimento dell’aumento di temperatura media globale ben al di sotto dei 2°C, con lo sforzo di raggiungere l’obiettivo più ambizioso di 1.5°C, raccomandato dalla scienza, senza tralasciare la volontà di arrivare a emissioni nette zero nella seconda metà del secolo.
Purtroppo però una sola conferenza non può risolvere il problema: la situazione infatti appare molto più complessa e articolata. Ad esempio, perché si è ancora così lontani dall’obiettivo se le tecnologie che potrebbero aiutarci esistono già? Lo abbiamo chiesto a Veronica Caciagli, giornalista ambientale specializzata in energia, ambiente e cambiamenti climatici, nonché presidentessa di Italian Climate Network. «Prima di tutto per poter vincere la sfida contro il surriscaldamento globale occorre innescare un profondo cambiamento; in secondo luogo la green economy non appare a tutti come un’opportunità: basti pensare a chi lavora in settori legati ai combustibili fossili». Come in molti altri ambiti, quindi, il denaro e l’economia sembrano dettare il percorso da seguire ed è necessario tempo per poter modificare le priorità.
La conferenza di Parigi sul clima rappresenta una parte importante di un percorso di questo tipo, ma sembrerebbe assai utopico pensare che un incontro fra capi di Stato, anche se straordinario, possa risolvere in maniera definitiva un problema così complesso.
… E QUELLA DEI CITTADINI
Oltre al compito che i vari governi nazionali devono assolvere, infatti, vi è una parte “domestica” fondamentale che ognuno di noi deve imparare a mettere in atto. «Uno degli aspetti della nostra quotidianità che ha un maggiore impatto ambientale è certamente l’utilizzo dei mezzi di trasporto, insieme alle nostre scelte alimentari ed energetiche (ad esempio se installare impianti fotovoltaici o se attuare misure di efficenza energetica in casa). Quindi usare i mezzi pubblici, consumare meno carne e utilizzare energie alternative sono scelte che aiutano l’ambiente. Fondamentale importante è soprattutto lo sviluppo di una coscienza civile in grado di vigilare sull’operato degli organi nazionali e internazionali che gestiscono queste questioni, possibilmente attraverso l’informazione e l’insegnamento, mezzi da sempre molto efficaci».
Nonostante tutte le misure di riparazione adottabili, i cambiamenti climatici sono ormai un fenomeno inarrestabile che porterà a delle conseguenze certe. Dobbiamo quindi imparare ad adattarci e cercare di organizzarci per affrontare al meglio lo scenario che ci attende.
EQUILIBRI INTERNAZIONALI
A proposito di conferenze sul clima, vi è un aspetto piuttosto controverso e spesso oggetto di dibattito che riguarda forse la più famosa risoluzione adottata su larga scala in ambito climatico e ambientale: il Protocollo di Kyoto. Come è noto a molti, l’accordo finale venne firmato ma non ratificato dagli USA, responsabili però del 36.2% delle emissioni totali (al momento della firma del trattato). In realtà la motivazione di quello che potrebbe sembrare un comportamento ipocrita è tutta interna all’ordinamento statunitense. Spiega Caciagli: «Il protocollo di Kyoto è stato firmato dall’allora presidente Clinton per poi essere ratificato dal Senato Repubblicano, contrario all’introduzione di politiche del clima». Una dinamica purtroppo comune: accordi internazionali che vengono messi in discussione e in alcuni casi bloccati a causa di questioni interne ai singoli Stati.
Fortunatamente alla COP21 di Parigi si è cercato di evitare questo tipo di intoppi: per quanto riguarda gli Stati Uniti, gli esiti finali della conferenza dello scorso dicembre fanno infatti riferimento diretto alla convenzione originaria del 1992, e non hanno quindi bisogno di un’ approvazione da parte del Senato.
LA QUESTIONE IN ITALIA
In Italia si è spesso discusso delle politiche energetiche attuate sul territorio, come ad esempio la neonata volontà dell’attuale governo di sfruttare le misere risorse di petrolio presenti nei nostri mari, che secondo molti studi sarebbero utili a ricoprire il fabbisogno nazionale equivalente ad un massimo di due anni, mettendo a rischio l’ecosistema, l’ambiente e attività come la pesca. Purtroppo, nonostante il nostro territorio presenti grandi potenzialità per quanto riguarda le energie rinnovabili - complessivamente nel 2014 ricoprivano il 42,5% della produzione di energia elettrica italiana - non si riesce ad utilizzare tutte queste risorse nel modo opportuno. Anche in questo caso il problema è di mentalità: «Quando si parla di combustibili fossili si usa la parola ‘investimenti’, mentre con le energie rinnovabili si fa riferimento ai ‘costi’: dovrebbe essere l’opposto».
EDUCARE ALL’AMBIENTE?
Le “armi” più potenti che ci sono rimaste, ora come molte altre volte, sono la sensibilizzazione e l’informazione. Quale luogo migliore della scuola potrebbe essere adatto ad assolvere un compito simile? Conclude Caciagli: «Sarebbe opportuno creare una vera e propria materia in grado di educare alle problematiche di tipo ecologico, puntando ad una migliore convivenza e civiltà». Gli errori ormai sono stati commessi, per migliorare le cose e assicurarci un futuro più verde c’è estremo bisogno di conoscere i passi falsi che ci hanno portato a questo punto e trovare ad ognuno di essi un’alternativa valida. Per dirla con John Kerry: «Il cambiamento climatico è reale. La sfida è avvincente. E più a lungo aspettiamo, più difficile sarà risolvere il problema».