Tra ingegno e truffa
L'Italia dei furbetti
Una tragicomica galleria di tipi nostrani, sempre impegnati a trovare il modo migliore per “fregare” il prossimo
Noemi Forelli | 17 dicembre 2015

 

Quante volte, nel nostro Paese, abbiamo visto persone che saltano le file, che non pagano il biglietto dei trasporti pubblici, che inventano le scuse più patetiche pur di poter sorpassare anche solo di un posto la loro posizione. O, peggio, persone che passano davanti alla coda solo perché sono l’amico di qualcuno, il conoscente, il nipote o lo zio. O, ancora peggio, quelli che timbrano il cartellino al lavoro e poi se ne vanno: avrete letto sui giornali le storie assurde di alcuni dipendenti pubblici a Sanremo.

Ma spostiamoci in una grande città, e pensiamo alla metropolitana: avete mai visto i “furbetti” che scavalcano o che incalzano da dietro chi sta entrando regolarmente con il biglietto? Si appollaiano dietro come gufi, e appena il tornello si apre ecco che ti si accodano dietro come un vagone alla locomotiva. Non tutti eh? Qualcuno si fa anche lo sconto comitiva da solo: ed ecco le coppie più giovani con la “Due cuori e una Card”, o le famiglie con mamma papà e figli al seguito, che passano, senza farsi alcun problema, inserendo nell’apposita macchinetta un solo biglietto, d’altronde “tengo famiglia”. E se all’uscita ci sono i controlli? La soluzione è dietro l’angolo: uscite di sicurezza, o quelle esclusivamente dedicate ai portatori di handicap. 

A proposito di handicap: una delle categorie che maggiormente dà lustro al nostro Paese è quella dei falsi invalidi: individui che si fingono malati, sorretti da stampelle per poter facilmente intenerire poveri ingenui che li lasciano così superare la fila. Sembra una gag da film demenziale, ma troppo spesso è la quotidianità di cui sono mio malgrado testimone. Perché passare avanti, trovare le scorciatoie in questo Paese è considerata roba per furbi, mentre chi sta al proprio posto a subire la cosa è scemo. E questo accade anche quando non si compie una vera e propria truffa: avete presente quelli che prendono il bigliettino in posta, vedono che c’è un po’ da aspettare e quindi escono per fare delle commissioni? Ottimizzano, direte voi. Certo, bravi. Peccato che non possono pensare di fare tutti i giri, tornare ore dopo che il loro turno è passato e pretendere di saltare la fila, rivendicando il proprio diritto (!), il più delle volte alzando la voce con fare sdegnoso e agitando il famigerato bigliettino come una bandiera. La bandiera del “furbo è meglio”.

Il must però resta sempre il passeggino, con cui vengono trasportati – e trascinati – anche bambini più che cresciuti: da necessario mezzo per piccoli non ancora in grado di camminare a passepartout del quale beneficiano famiglia e anche amici. E se non avete dimestichezza con i neonati, perché non rivolgervi alla terza età: ho visto con i miei occhi persone portarsi un anziano con sé solo per evitare la coda, o comunque suscitare la compassione delle persone immediatamente prima di loro. 

Salvo essere colti in fallo, smascherati della loro “furbizia”: a quel punto scatta l’aggressività e il leggendario “lei non sa chi sono io!”. 

Magari non è sempre così, ma spesso davvero non si riesce più a distinguere tra leggende metropolitane e realtà. E alla base di tutto c’è una motivazione sociologica: l’avversione di noi italiani per l’attesa. Proprio non ce ne facciamo una ragione. Per noi è impensabile aspettare: alle volte sarebbe perfino meno stancante fare la coda come i comuni mortali aspettando il nostro turno, piuttosto che sprecare energie ingegnandoci a trovare soluzioni quantomeno fantasiose. 

Per noi l’attesa è eccessivamente estenuante: che sia il nastro registrato della compagnia telefonica o la cassa di un supermercato, fermi proprio non ci sappiamo stare. Quello che più fa riflettere è che il bersaglio delle nostre furbesche trovate non è, come forse pensiamo, il sistema, ma innocui cittadini che hanno la “colpa” di trovarsi malcapitatamente prima di noi. Parlo al plurale perché, al di là dei casi limite, tutti noi ci abbiamo provato almeno una volta nella vita. O vorreste dirmi che non avete mai pensato: “Se lo fanno loro, perché non posso farlo anche io?”