Dopo un’estate in cui sono stati all’ordine del giorno casi di cronaca di morti giovanissime causate dall’uso e abuso di alcol e droghe– perché si sa, in vacanza ci si sballa di più – con l’autunno è calato il silenzio su questi temi, come se improvvisamente non fosse più un problema. E invece il bilancio è pesante. Sono sempre di più i ragazzi che scelgono superalcolici e pasticche per rendere indimenticabili le loro notti in discoteca, trainati da quel branco a cui non sanno dire di no. Per sentirsi più forti, più disinvolti, meno soli. L’indagine condotta dall’Osservatorio Adolescenti di Telefono Azzurro e DoxaKids (2014) rivela infatti che al 50,6% degli adolescenti intervistati dagli 11 ai 19 anni è capitato di bere alcolici; di questi il 49,9% si è ubriacato almeno una volta. Inoltre, benché l’alcol sia la sostanza assunta con maggiore frequenza, il 13% dei ragazzi ha dichiarato di fare uso di droghe, percentuale almeno in parte sottostimata, dato che più della metà degli intervistati (53,6%) conosce almeno una persona che ne fa uso.
Sembra poi sempre più diffuso il consumo che non si ferma ad una sola sostanza: il fenomeno del poli-abuso, sempre più comune, vede proprio gli adolescenti italiani come capofila in Europa (European Monitoring Centre for Drugs and Drug Addiction, 2014). Come sottolinea il Dipartimento Politiche Antidroga, appartiene infatti ai nostri giovani la tendenza dell’uso contemporaneo, in una stessa occasione - come una serata in discoteca - di più droghe, accompagnato costantemente da alcol.
Ma un dato preoccupante riguarda anche l’uso della cannabis, che sembrava essere ormai in declino e che invece si sta riaffermando nei consumi degli ultimi anni. I giovani che l’hanno sperimentata almeno una volta nella vita sono infatti 3 su 10. Stime preoccupanti. E allora eccoli questi numeri che diventano persone, ragazzi poco più che bambini con sigaretta in una mano e superalcolico nell’altra che muoiono mentre si procurano un motivo di ostentazione con gli amici o mentre cercano solo la via di fuga da un’età difficile. Quali le reazioni per arginare questo fenomeno? A luglio scorso è arrivata la decisione da parte del Comune di Riccione di chiudere la storica discoteca Cocoricò, dove un ragazzino di appena sedici anni è morto proprio per uso di ecstasy. È piovuta quindi una pioggia di polemiche da parte di chi ha tutto l’interesse a controllare le masse dei giovanissimi; di chi, consenziente o inconsapevole, accetta di farsi manipolare; di chi esprime, spesso e volentieri molto moralisticamente, tutto il suo dissenso sui social network; dei media che fanno pressione mediatica solo ora su una questione forse molto più vecchia.
È allora un fenomeno dilagante, “una questione generazionale”, dice qualcuno. Ci si interroga sul motivo per cui gli adulti di domani si nascondano dietro questo volersi male, ci si chiede se sia una crisi di valori, di ideali o solo il normale decorso di una generazione che vive in quest’epoca. Ma la questione non si ferma a questo, anzi è molto più complessa. Perché investe altre parti del sistema sociale, fino a diventare un vero problema economico, prima che culturale e morale. E non riguarda solo i fini commerciali cui mirano i giocolieri di masse che promuovono droga e alcol tra le menti più giovani e quindi spesso più fragili e duttili.
Ora un nuovo allarme arriva proprio dai membri e dalle strutture del Sistema Sanitario Nazionale: l’economia degli ultimi anni nel nostro Paese stenta a riprendersi, le risorse economiche non sono delle più floride, i fondi sanitari sono quindi striminziti e ci sono necessità sanitarie più serie di quelle di chi preferisce bersi il cervello in discoteca. Il dott. Giovanni Gorgoni, direttore dell’Azienda Locale Sanitaria di Lecce - ricordiamo che buona parte delle morti per alcol e droga dell’estate appena trascorsa si conta sulla riviera Salentina- ha lanciato a questo proposito un allarme sul suo profilo Facebook: nella sola notte del 10 agosto scorso “il Servizio 118 della Asl è stato costretto a intervenire in 11 casi per stato di ebbrezza: 11 potenziali tragedie, ma anche 11 ambulanze sottratte a chi poteva seriamente averne bisogno per stati di malattia. Degli 11 ben 6 erano minorenni. I pochi denari che lo Stato mi passa mi servono per curare malati di cancro, persone con disabilità, pazienti cronici e non autosufficienti. Possibilmente non i ‘bimbominkia’ grandi e piccini in cerca del fottutissimo quarto d’ora indimenticabile”. Parole molto dure quelle di Gorgoni, ma anche giuste, obiettive, perché forse è arrivato il momento di far pagare ai genitori degli ubriachi del sabato sera l’(ab)uso di un servizio pubblico, quale il 118, nel tentativo di rimpinguare quantomeno il servizio sanitario pubblico sottratto a chi ne potrebbe avere seriamente bisogno. Perché la vita non può valere davvero un quarto d’ora di esaltazione in discoteca con gli amici. Perché la risposta da dare a chi ci chiede durante la ila per entrare in discoteca “Ne vuoi?” dovrebbe essere “No, grazie, sono troppo impegnato a vivere”.