Diaspora del XXI secolo
La fuga invisibile
Il conflitto in Siria ha provocato due milioni di rifugiati, di cui la metà è costituita da bambini. Molti di loro sono costretti a scappare da soli nei Paesi confinanti, cercando il futuro che gli è stato negato
Maria Chiara Parisi | 11 ottobre 2013
«Guerra vuol dire che ci uccidono, che ci sparano con la mitragliatrice e ci torturano». A parlare è un bambino siriano che non ha nemmeno dieci anni. Dal 2011 la guerra civile infuria in Siria e fa strage di cittadini innocenti. Ma i media hanno acceso i riflettori sul tema solo recentemente, quando si è cominciato a discutere di un intervento delle forze armate straniere. Nel frattempo, settemila bambini hanno perso la vita. A guardare i numeri, il conflitto in Siria lascia senza parole: il numero di morti in due anni è di centomila persone, quasi quanto quelli provocati negli otto anni di guerra nei Balcani. E i rifugiati arrivano a due milioni: il volto barbaro della guerra colpisce i più deboli e li livella alla categoria di “sfollati”. Ma quanti si sono mai chiesti: qual è la loro destinazione? Dove sono diretti? Chi li accoglie? Le risposte si trovano sui confini siriani, almeno per quanto riguarda i paesi limitrofi che hanno aperto le frontiere e che dunque permettono l’accesso ai tanti bisognosi.
Iraq: tra accoglienza e instabilità politica
L’Iraq, teatro di guerra tra il 2003 e il 2011, Paese in cui ogni anno vengono registrati oltre centomila bambini rifugiati, ha dimostrato una straordinaria prova di civiltà e maturità nei confronti dei siriani. Inizialmente nei campi profughi iracheni sono arrivati giovani uomini, ma con l’avanzare del conflitto si è verificato un vero e proprio esodo di intere famiglie, toccando punte di ventimila persone in 6 giorni. Di tutti quelli che giungono dal confine Nord-Est della Siria, però, solo il 60% del totale si inserisce nei campi: il resto cerca un po’ di stabilità nelle comunità locali, dove però è più complicato che arrivi l’aiuto delle organizzazioni umanitarie.
E poi ci sono le fughe invisibili: 3500 bambini che ogni giorno valicano le frontiere siriane da soli, senza nessuno. Varie sono le associazioni presenti e attive sul territorio con molti programmi rivolti ai minori, tra cui l’Unicef. Educazione, supporto psicologico e affettivo, salute e nutrizione, sono solo alcuni dei punti cardine del prezioso lavoro che portano avanti l’Unicef e altre ONG locali. Al tempo stesso, però, l’instabilità politico-militare del Paese non favorisce lo svolgimento delle operazioni, che hanno costi sempre più elevati. A questo proposito ha commentato Marzio Babille, rappresentante Unicef per l’Iraq: «Unicef rimarrà e fornirà rifugio per i bambini. […] Deve essere però trovata una soluzione politica».
Libano: lotta per l’istruzione
Solo 83 sono i chilometri che separano Beirut da Damasco, la salvezza dalla morte. Per i siriani è il Libano, dove i rifugiati sono oltre un milione e mezzo su quattro milioni di abitanti. Non si riescono quindi a fornire servizi a sufficienza per tutti i cittadini, libanesi e non: il problema dell’integrazione è all’ordine del giorno. Famiglie siriane e libanesi si scontrano per poter garantire ai propri figli un’istruzione e il governo locale stima che ci saranno quasi 550.000 bambini siriani in età scolare nel Paese entro la fine di quest’anno, oltre ai 300.000 bambini libanesi nel sistema scolastico pubblico.
Giordania: se i campi profughi diventano città
Altro Paese situato al confine di zone belligeranti, la Giordania è pronta ad ospitare i rifugiati che oltrepassano il confine siriano più pericoloso, perché controllato. Qui i campi profughi sono diventati vere e proprie città, ma i servizi, a partire da quelli più indispensabili, non reggono più. Za’Tari - questo è il nome di uno dei campi-città divenuti più noti - è ormai la quarta di città di Giordania, conta 115.000 persone e consuma 4 milioni di litri d’acqua al giorno. Anche qui Unicef è presente con progetti per i bambini: in particolare il programma “Back to school” mira a restituire ai minori siriani uno stile di vita normale.
Gli scenari futuri
In oltre due anni la guerra in Siria ha coinvolto quasi 7 milioni di individui, tra vittime, persone che hanno perso il lavoro, sfollati. In questo contesto un intervento delle forze armate non sembra auspicabile; come ha detto anche il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino: «Il negoziato è una scelta seria, una strada in salita, ma vale la pena percorrerla». E questa è la via giusta, quella che va intrapresa, l’unica che può e potrà garantire un futuro a chi per ora vede davanti a sé le tenebre della guerra, a chi ha perso tutto e merita di tornare a sorridere.
INCONTRI.
UNICEF ITALIA È IN PRIMA LINEA IN SIRIA: CE NE PARLA IL PRESIDENTE GIACOMO GUERRERA
Avere dieci anni a Damasco
L’Italia rappresenta una penisola di speranza per chi vive sulle sponde opposte del Mediterraneo: con l’avvento della guerra in Siria in molti sono arrivati qui. Qual è la loro condizione?
Dall’inizio dell’anno sono arrivati via mare circa 4000 cittadini siriani: di questi 230 sono minori non accompagnati, che quindi non hanno genitori, né parenti prossimi. Se pensate che lo scorso anno ne erano arrivati quasi 400 in tutto, capite che c’è una crescita esponenziale in questa migrazione. È importante che ai cittadini siriani venga riconosciuta la qualifica di rifugiato, per poter godere di tutte quelle opportunità che la legislazione italiana offre loro.
Quali sono i progetti che Unicef immagina di poter realizzare con l’aiuto degli italiani, anche in accordo con il Governo?
Noi siamo in prima linea nel comunicare ai cittadini italiani quello che accade in Siria, perché bisogna conoscere la situazione per poter intervenire in maniera concreta e opportuna. Il dramma di questa popolazione è che vede milioni di bambini coinvolti: sono necessari degli interventi solidi, che impegnano economicamente la nostra organizzazione.
E qual è la vostra azione sul campo?
Aiutiamo la popolazione siriana che abita aree completamente desertiche o in Giordania, in Libano, in Iraq, in Turchia. I profughi vivono in zone dove non ci sono fogne, non c’è acqua potabile, non ci sono centri sanitari: noi dobbiamo preoccuparci di tutto. L’energia elettrica viene distribuita attraverso fili sistemati provvisoriamente da una capanna all’altra e purtroppo quando piove, anche solo quelle poche volte, sono moltissimi i bambini e gli adulti che muoiono folgorati. Quindi c’è una situazione tragica che porta a chiedere aiuto a tutti.
Come recepiscono gli italiani questa situazione? Qual è il ruolo dei media e dell’informazione nel nostro Paese?
Alcuni mesi fa ho rimproverato i nostri media di essere un po’ distratti su quello che stava succedendo in Siria, l’ho fatto più volte dicendo: «È arrivato il momento di dire basta a questo dramma». Dobbiamo creare per i siriani le condizioni di una vita normale nel loro Paese e dove si trovano attualmente: non basta soltanto accoglierli. In questi ultimi mesi c’è stata invece partecipazione, una gara di solidarietà fatta da tutti i media: hanno risposto con entusiasmo e con grande condivisione al problema e mi sembra che lo stiano rappresentando nella maniera corretta.
Lei ha definito questo conflitto come “guerra ai bambini”: cosa provocherebbe un eventuale intervento delle forze armate straniere? La cosiddetta generazione a rischio dei minori siriani sarebbe in grado di sopportare anche il peso di un conflitto che superi i confini territoriali?
Papa Francesco l’ha detto in maniera molto precisa e puntuale: la situazione in Siria non si risolve con un’altra guerra o con l’uso delle armi, ma con il dialogo, attraverso il confronto e il negoziato interno perché questo è l’unico modo. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, i conflitti sono stati quasi sempre pagati non solo da chi indossa una divisa, ma dalle donne, gli anziani e i bambini.
Cosa vuol dire vivere in Siria ora per un bambino?
Fuggire continuamente da un rifugio all’altro, da una casa all’altra in base a dove si sentono arrivare le bombe, significa vivere in uno stato d’ansia che viene trasferito dagli adulti ai bambini. Come Unicef noi puntiamo tanto sul ritorno a scuola per cercare di tenerli impegnati. Al momento stiamo facendo un’iniziativa per una scuola a distanza attraverso la radio e la televisione, abbiamo più di 400 persone impegnate sul campo e anche la popolazione locale ci aiuta nella realizzazione dei nostri programmi. Tutti ci riferiscono che i bambini sono terrorizzati, hanno paura del rumore, di qualsiasi cosa avvenga di diverso, di inatteso: ed è una cosa terribile.
Quali sono i risultati che Unicef crede di aver conseguito in questi anni?
Nel 1990 a morire erano 12 milioni di bambini l’anno, oggi sono 6,6 milioni: intendiamoci, si tratta comunque di una vergogna per la comunità mondiale, ma è un progresso che abbiamo ottenuto attraverso tanti interventi, soprattutto per quanto riguarda la sanità e il continuum assistenziale. Noi facciamo di tutto per alleviare la condizione dei minori in difficoltà in tutto il mondo e i risultati sono importanti; vogliamo procedere su questa linea ma per farlo abbiamo bisogno dell’aiuto degli italiani. Il mio appello è rivolto a loro per la Siria e per tutti i bambini del mondo, basta andare sul sito www.unicef.it, dove è possibile partecipare il più possibile a questa gara di solidarietà.
Iraq: tra accoglienza e instabilità politica
L’Iraq, teatro di guerra tra il 2003 e il 2011, Paese in cui ogni anno vengono registrati oltre centomila bambini rifugiati, ha dimostrato una straordinaria prova di civiltà e maturità nei confronti dei siriani. Inizialmente nei campi profughi iracheni sono arrivati giovani uomini, ma con l’avanzare del conflitto si è verificato un vero e proprio esodo di intere famiglie, toccando punte di ventimila persone in 6 giorni. Di tutti quelli che giungono dal confine Nord-Est della Siria, però, solo il 60% del totale si inserisce nei campi: il resto cerca un po’ di stabilità nelle comunità locali, dove però è più complicato che arrivi l’aiuto delle organizzazioni umanitarie.
E poi ci sono le fughe invisibili: 3500 bambini che ogni giorno valicano le frontiere siriane da soli, senza nessuno. Varie sono le associazioni presenti e attive sul territorio con molti programmi rivolti ai minori, tra cui l’Unicef. Educazione, supporto psicologico e affettivo, salute e nutrizione, sono solo alcuni dei punti cardine del prezioso lavoro che portano avanti l’Unicef e altre ONG locali. Al tempo stesso, però, l’instabilità politico-militare del Paese non favorisce lo svolgimento delle operazioni, che hanno costi sempre più elevati. A questo proposito ha commentato Marzio Babille, rappresentante Unicef per l’Iraq: «Unicef rimarrà e fornirà rifugio per i bambini. […] Deve essere però trovata una soluzione politica».
Libano: lotta per l’istruzione
Solo 83 sono i chilometri che separano Beirut da Damasco, la salvezza dalla morte. Per i siriani è il Libano, dove i rifugiati sono oltre un milione e mezzo su quattro milioni di abitanti. Non si riescono quindi a fornire servizi a sufficienza per tutti i cittadini, libanesi e non: il problema dell’integrazione è all’ordine del giorno. Famiglie siriane e libanesi si scontrano per poter garantire ai propri figli un’istruzione e il governo locale stima che ci saranno quasi 550.000 bambini siriani in età scolare nel Paese entro la fine di quest’anno, oltre ai 300.000 bambini libanesi nel sistema scolastico pubblico.
Giordania: se i campi profughi diventano città
Altro Paese situato al confine di zone belligeranti, la Giordania è pronta ad ospitare i rifugiati che oltrepassano il confine siriano più pericoloso, perché controllato. Qui i campi profughi sono diventati vere e proprie città, ma i servizi, a partire da quelli più indispensabili, non reggono più. Za’Tari - questo è il nome di uno dei campi-città divenuti più noti - è ormai la quarta di città di Giordania, conta 115.000 persone e consuma 4 milioni di litri d’acqua al giorno. Anche qui Unicef è presente con progetti per i bambini: in particolare il programma “Back to school” mira a restituire ai minori siriani uno stile di vita normale.
Gli scenari futuri
In oltre due anni la guerra in Siria ha coinvolto quasi 7 milioni di individui, tra vittime, persone che hanno perso il lavoro, sfollati. In questo contesto un intervento delle forze armate non sembra auspicabile; come ha detto anche il nostro ministro degli Esteri Emma Bonino: «Il negoziato è una scelta seria, una strada in salita, ma vale la pena percorrerla». E questa è la via giusta, quella che va intrapresa, l’unica che può e potrà garantire un futuro a chi per ora vede davanti a sé le tenebre della guerra, a chi ha perso tutto e merita di tornare a sorridere.
INCONTRI.
UNICEF ITALIA È IN PRIMA LINEA IN SIRIA: CE NE PARLA IL PRESIDENTE GIACOMO GUERRERA
Avere dieci anni a Damasco
L’Italia rappresenta una penisola di speranza per chi vive sulle sponde opposte del Mediterraneo: con l’avvento della guerra in Siria in molti sono arrivati qui. Qual è la loro condizione?
Dall’inizio dell’anno sono arrivati via mare circa 4000 cittadini siriani: di questi 230 sono minori non accompagnati, che quindi non hanno genitori, né parenti prossimi. Se pensate che lo scorso anno ne erano arrivati quasi 400 in tutto, capite che c’è una crescita esponenziale in questa migrazione. È importante che ai cittadini siriani venga riconosciuta la qualifica di rifugiato, per poter godere di tutte quelle opportunità che la legislazione italiana offre loro.
Quali sono i progetti che Unicef immagina di poter realizzare con l’aiuto degli italiani, anche in accordo con il Governo?
Noi siamo in prima linea nel comunicare ai cittadini italiani quello che accade in Siria, perché bisogna conoscere la situazione per poter intervenire in maniera concreta e opportuna. Il dramma di questa popolazione è che vede milioni di bambini coinvolti: sono necessari degli interventi solidi, che impegnano economicamente la nostra organizzazione.
E qual è la vostra azione sul campo?
Aiutiamo la popolazione siriana che abita aree completamente desertiche o in Giordania, in Libano, in Iraq, in Turchia. I profughi vivono in zone dove non ci sono fogne, non c’è acqua potabile, non ci sono centri sanitari: noi dobbiamo preoccuparci di tutto. L’energia elettrica viene distribuita attraverso fili sistemati provvisoriamente da una capanna all’altra e purtroppo quando piove, anche solo quelle poche volte, sono moltissimi i bambini e gli adulti che muoiono folgorati. Quindi c’è una situazione tragica che porta a chiedere aiuto a tutti.
Come recepiscono gli italiani questa situazione? Qual è il ruolo dei media e dell’informazione nel nostro Paese?
Alcuni mesi fa ho rimproverato i nostri media di essere un po’ distratti su quello che stava succedendo in Siria, l’ho fatto più volte dicendo: «È arrivato il momento di dire basta a questo dramma». Dobbiamo creare per i siriani le condizioni di una vita normale nel loro Paese e dove si trovano attualmente: non basta soltanto accoglierli. In questi ultimi mesi c’è stata invece partecipazione, una gara di solidarietà fatta da tutti i media: hanno risposto con entusiasmo e con grande condivisione al problema e mi sembra che lo stiano rappresentando nella maniera corretta.
Lei ha definito questo conflitto come “guerra ai bambini”: cosa provocherebbe un eventuale intervento delle forze armate straniere? La cosiddetta generazione a rischio dei minori siriani sarebbe in grado di sopportare anche il peso di un conflitto che superi i confini territoriali?
Papa Francesco l’ha detto in maniera molto precisa e puntuale: la situazione in Siria non si risolve con un’altra guerra o con l’uso delle armi, ma con il dialogo, attraverso il confronto e il negoziato interno perché questo è l’unico modo. Dalla Seconda guerra mondiale in poi, i conflitti sono stati quasi sempre pagati non solo da chi indossa una divisa, ma dalle donne, gli anziani e i bambini.
Cosa vuol dire vivere in Siria ora per un bambino?
Fuggire continuamente da un rifugio all’altro, da una casa all’altra in base a dove si sentono arrivare le bombe, significa vivere in uno stato d’ansia che viene trasferito dagli adulti ai bambini. Come Unicef noi puntiamo tanto sul ritorno a scuola per cercare di tenerli impegnati. Al momento stiamo facendo un’iniziativa per una scuola a distanza attraverso la radio e la televisione, abbiamo più di 400 persone impegnate sul campo e anche la popolazione locale ci aiuta nella realizzazione dei nostri programmi. Tutti ci riferiscono che i bambini sono terrorizzati, hanno paura del rumore, di qualsiasi cosa avvenga di diverso, di inatteso: ed è una cosa terribile.
Quali sono i risultati che Unicef crede di aver conseguito in questi anni?
Nel 1990 a morire erano 12 milioni di bambini l’anno, oggi sono 6,6 milioni: intendiamoci, si tratta comunque di una vergogna per la comunità mondiale, ma è un progresso che abbiamo ottenuto attraverso tanti interventi, soprattutto per quanto riguarda la sanità e il continuum assistenziale. Noi facciamo di tutto per alleviare la condizione dei minori in difficoltà in tutto il mondo e i risultati sono importanti; vogliamo procedere su questa linea ma per farlo abbiamo bisogno dell’aiuto degli italiani. Il mio appello è rivolto a loro per la Siria e per tutti i bambini del mondo, basta andare sul sito www.unicef.it, dove è possibile partecipare il più possibile a questa gara di solidarietà.