Cronache marziane
Istantanee da un rave
La sua evoluzione fu il Free-party, poi la ?Festa?, termine ormai preferito fra i frequentatori abituali. Ma che cos?è un rave? Ce lo racconta tra cronaca e fiction un nostro inviato
Massimiliano T. | 16 aprile 2013
?Appena usciti dalla tangenziale, un paio di rotonde e si prosegue dritti fino al semaforo. Al semaforo svoltare a sinistra e proseguite fino al cancello?.  L?sms dello Smilzo che mi guida al rave party recita così. La cartiera si presenta come un tipico stabilimento abbandonato. La maggior parte delle macchine è parcheggiata nello spiazzo di fronte al supermercato, al di là della strada principale. Questa distanza tra il parcheggio e lo stabilimento crea un afflusso di gente continuo, ma frammentario. Mi fa venire in mente un rubinetto rotto. Uno di quei rubinetti ostruiti che fanno fatica a rilasciare il getto; così l?acqua non scorre fluidamente, ma è ?tossita? fuori, ad oltranza. Gli interni sono come gli esterni. Vuoti, scarni e polverosi. Molto polverosi. Sono le ore 23.00 ed io sono appena arrivato al rave. Ecco l?entrata principale. Qui i cancelli arrugginiti si lasciano attraversare dal popolo dei rave come, nel secolo scorso, si lasciavano attraversare dagli operai e dai bilici carichi di cellulosa. Il posto è imponente. Nei vecchi locali ci saranno millecinquecento persone raggruppate di fronte a un enorme muro di casse.  Ma la location non colpisce quanto l?atmosfera che si respira. Una sottile linea di eccessi senza controllo fa pensare a Collodi, al ?Paese dei balocchi?. Sono le facce, gli umori e le voci del paese dei balocchi. È una sensazione difficile da razionalizzare, una colorita fantasia. Impalpabile ma sempre presente: forse appartiene all?inconscio collettivo dei partecipanti? All?interno e all?esterno della struttura sono stati accesi dei fuochi a disposizione di coloro che hanno freddo e che vogliono riposarsi. Questa scena concorre nel rendere la percezione della ?Festa? una suggestione ?tribale?.
I ragazzi si mobilitano per cercare la legna da ardere, per mantenere vivo il fuoco, c?è chi la cerca per terra e chi addirittura saccheggia i vecchi ponteggi. Accoccolati di fronte i focolari, si scambiano sigarette, coperte, alcolici e strane sostanze. Una specie di primitivo collettivismo li aiuta a sentirsi parte di questa comunità nuova e improvvisata. Qualche stratagemma di natura artificiale - come il massiccio consumo di sostanze stupefacenti - permette loro l?intimità.
La presenza di droghe è costante, dappertutto e di qualsiasi genere. Draco spiega che spesso vengono portate da ?casa?. Alcune  - più semplici da ?cucinare? - come le droghe di ultima generazione (Ketamina e Mdma) sono fatte sul posto.
Mi avvicino ad una bancarella che vende panini, polenta e vin-brulè per acquistare una bottiglietta d?acqua minerale. La ragazza dietro il bancone mi risponde: ?Non c?è più acqua, sono due giorni che il posto di blocco della polizia all?entrata non ci lascia uscire per fare rifornimenti?. 
Nel frattempo una ragazza carina,  squatter a giudicare dal vestiario e dal portamento, mi dice: ?Lanciamogli qualcosa addosso?. In quel momento penso a quanto sarebbe pericoloso se il clima si incendiasse e la situazione sfuggisse improvvisamente di mano. Paranoia.
Gli ampi locali dell?ex cartiera De Medici sono riempiti da febbrili e distorte vibrazioni Hardtek che, rimbalzando da una parete all?altra, sembrano far rivivere i suoni di un?efficiente ?giovinezza? a uno stabilimento che da anni è a digiuno di  suoni meccanici.
Diverse ore dopo, accusando la stanchezza, la musica ripetitiva e soprattutto il carnaio di gente che, incurante delle volanti all?ingresso, continua ad affollare le sale, mi decido ad abbandonare il luogo.
Mi faccio largo tra la folla e solo quando riesco ad uscire completamente all?aria aperta mi accorgo di che ora sia. Le cinque meno dieci.
È mattina e la cartiera, illuminata da un pallido sole invernale, sembra una carogna disossata, brulicante di forme di vita che banchettano con i suoi ultimi resti.