DDL intercettazioni. La rete contro la norma ammazzablog
Lunga vita a Wikipedia!
Prove tecniche di oscuramento per la più famosa enciclopedia on line. E la solidarietà di Internet non si è fatta attendere. I cittadini del mondo non si possono più far tacere
Redazione | 17 ottobre 2011
Compiti, tesine, articoli di Zai.net, semplice curiosità. Alzi la mano chi per questi o altri motivi non ha mai cercato qualche informazione su Wikipedia. E cosa sarebbe il mondo senza l’enciclopedia più famosa del web l’abbiamo sperimentato anche noi in redazione quando abbiamo iniziato a scrivere questo articolo. Cercavamo informazioni da aggiungere, notizie, date e abbiamo invece trovato una brutta sorpresa: Wikipedia non era disponibile. Le sue pagine erano state temporaneamente oscurate per protesta contro il comma 29 contenuto nel DDL intercettazioni, la famigerata norma “ammazza-blog”. E, complice il black-out, si è rivelata la generale Wiki-dipendenza: tutti, dai politici agli studenti, si sono chiesti: “Come faremo senza?”. Insomma, si è dimostrato quanto l’enciclopedia sia diventata parte integrante della nostra quotidianità. Ma facciamo un passo indietro: cosa si nasconde dietro il cruento appellativo di “ammazza-blog”? L’obbligo per ogni sito informatico – blog di quindicenni inclusi – di rettificare un contenuto, veritiero o meno, sulla base di una semplice richiesta di soggetti che se ne ritengano lesi. Senza possibilità di replica e pena una sanzione fino a 12mila euro. «Il rischio più grande con una norma come questa – ci spiega Luca Nicotra, segretario dell’associazione Agorà digitale – sarebbe l’autocensura, che ciascuno limitasse la propria libertà di espressione per paura delle sanzioni. Fare critica ai poteri in rete diventerebbe pericoloso, il web si limiterebbe probabilmente a discutere di calcio e veline». E naturalmente anche Wikipedia, una sorta di agorà virtuale dove gli utenti sono al tempo stesso lettori e redattori delle voci, forse l’esempio più bello di democrazia digitale, ne sarebbe danneggiata nella sua stessa essenza. L’obbligo di pubblicare fra i contenuti le smentite di chiunque, “senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica – si legge nel comunicato che spiegava le ragioni dell’oscuramento – costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell'Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi”. Ed è così che è stato compiuto il capolavoro della comunicazione: l’oscuramento delle pagine in poche ore ha fatto mobilitare tutta la rete. Sul solito Facebook sono sorti in un lampo gruppi come: “Io sto con Wikipedia” o “Salviamo Wikipedia. No al bavaglio!”, con tanto di istruzioni da seguire per un efficace passaparola. Perché non c’è nulla di più difficile che mettere una rete alla rete. Lo sa anche Vasco Rossi che nei giorni scorsi ha piegato la testa di fronte all’autosospensione della dissacrante cugina di Wiki, “Nonciclopedia”, avvenuta per protestare contro gli avvocati del rocker che avevano giudicato diffamatoria la pagina a lui dedicata. Le scuse del sito, ma, crediamo noi, soprattutto le rimostranze – anche piuttosto veementi degli internauti – sul profilo Facebook del Blasco hanno permesso di ricucire lo strappo.
Ma perché Internet fa così paura? «La rete - ha ricordato Giuseppe Giulietti, portavoce dell’associazione Articolo 21 - è stata straordinaria nell’organizzare campagne come quella sul referendum dell’acqua o sulla legge elettorale e da allora è diventata un nemico, come Santoro e Saviano». Per non parlare di quello che è accaduto nei mesi scorsi nei Paesi arabi, dove la rivoluzione è nata e cresciuta sul web. Internet mette in condivisione i pensieri, fa passare le informazioni, anche quelle più scomode, e tutto questo può essere per qualcuno molto, molto pericoloso, specie se questo qualcuno vive del consenso altrui. Forse non molti sanno che esistono aziende che lavorano per ripulire l’immagine dei personaggi più famosi e potenti, scandagliando la rete per cercare di far rimuovere le critiche. Qualcuno li chiama ingegneri della reputazione, termine poco felicemente tradotto dall’inglese reputation manager. Certo, non sarebbe neanche corretto consentire che in rete si possa dire tutto ciò che ci passa per la testa e qualcuno potrebbe comunque auspicare una forma di regolamentazione. «Ma in realtà quello di Internet come spazio aperto che vive senza alcuna restrizione è un falso mito – precisa Nicotra – Già ora posso essere denunciato per diffamazione se scrivo qualcosa di offensivo su internet. Il problema è che si cercano delle scorciatoie per i potenti che vogliono anche illegittimamente ripulire la loro immagine. Si vuole la giustizia in modo sommario, cancellando contenuti o ratificandoli con estrema facilità».
Quando abbiamo chiuso questo articolo, poco prima di mandare in stampa il giornale, Wikipedia aveva già riaperto i battenti, in attesa e nella speranza venisse approvato in via definitiva l’emendamento che limita il diritto di rettifica alle testate giornalistiche registrate, salvando quindi i blog e gli altri siti non professionisti. Quando leggerete questo articolo forse avrete già saputo se la rete avrà vinto o meno la sua battaglia. In un caso o nell’altro, non abbassate la guardia, perché, come ha dichiarato Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia, a proposito della vicenda italiana e del disegno di legge che non ha esitato a definire “idiota”, “Tutti i governi sono avvertiti: noi, cittadini del mondo, siamo qui e non potete farci tacere mai più”.