Cento anni dalla nascita, cinque dalla scomparsa e un secolo di storia e di straordinaria passione politica e civile a scandire l'epopea di Nelson Mandela. Un'avventura umana, quella di Madiba, inscindibile dai ventisette anni trascorsi nel carcere di Robben Island e dalla sua strenua battaglia contro l'apartheid e ogni altra forma di ingiustizia.
Mandela, un rivoluzionario d'Africa, nativo della regione del Transkel e protagonista di una delle lotte più importanti e significative del Novecento, in grado di modificare in maniera radicale, e diremmo abbastanza duratura, l'immaginario collettivo di un Paese e di un continente che, da quel momento in poi, ha preso parzialmente coscienza dei propri diritti e della propria dignità. Non che il Sudafrica sia oggi una nazione libera dal razzismo e dalle discriminazioni, non che sia una democrazia compiuta o uno stato in cui non esistono piu disuguaglianze, violenze e atti di autentica barbarie; fatto sta che senza quell'uomo, il suo coraggio, la sua disponibilità a morire e la sua sofferenza quasi trentennale dietro le sbarre di una prigione, senza tutto questo oggi il Sudafrica sarebbe ancora la galera a cielo aperto che era prima del '90.
L'importante, tuttavia, è evitare i santini. Guai a tracciare un elogio di Mandela avulso dall'attuale contesto mondiale: il diretto interessato non lo avrebbe gradito affatto né serve a nulla, se non ad alimentare un mito che non ha alcun bisogno di essere alimentato.
Chiediamoci, piuttosto, cosa direbbe oggi Madiba dei disperati che fuggono dall'inferno dell'Africa in fiamme, stretta fra malattie, carestie, miseria e devastazione sociale, in cerca di un minimo di speranza in un continente declinate chiamato Europa, di cui noi che abbiamo avuto la fortuna di nascerci vediamo tutti i difetti mentre per loro costituisce ancora un miraggio.
Interroghiamoci su cosa avrebbe detto Madiba parlando di Josefa, la migrante salvata l'altro giorno dalla ong Open Arms, dopo essersi rifiutata di salire a bordo dell'imbarcazione della Guardia costiera libica che l'avrebbe riportata in una nazione ridotta a un lager e per questo abbandonata in mezzo al mare insieme a una donna e a un bambino che, purtroppo, sono annegati.
Interroghiamoci su quegli occhi colmi di paura, di sconforto, di orrore e rendiamoci conto che no, Mandela non è un'icona ma un messaggio universale, importante oggi più di ieri, indispensabile in una società incattivita come quella che abbiamo sotto gli occhi, necessario come l'aria ora che la malvagità sembra essersi impadronita di ogni angolo del nostro mondo e che è seriamente a rischio il concetto stesso di umanità.
Mandela, pertanto, assurge, in questo 2018 della sofferenza e dello strazio, a simbolo della resistenza universale all'abisso, della lotta senza quartiere contro ogni forma di violenza, della difesa dei princìpi di democrazia, libertà, uguaglianza e solidarietà dall'assalto che stanno subendo in ogni angolo del mondo.
Non un profeta, un mito o un Dio da adorare, dunque, ma un protagonista di ieri e di sempre contro la follia che sta devastando il pianeta e rendendo schiavi milioni, se non addirittura miliardi, di esseri umani.
Per questo ricordiamo Madiba e la sua bellissima frase dedicata ai vincitori che altro non sono, secondo lui, che dei sognatori che non si sono mai arresi. Lui apparteneva, appartiene e apparterrà sempre a questa categoria: da qui la nostra stima e la nostra infinita gratitudine.