Lo abbiamo scritto già in altre circostanze: non chiamatele più sorprese. Perché c'è davvero poco di sorprendente in fuoriclasse come Modrić, Rakitić o Lukaku, da anni protagonisti in alcune delle più importanti e prestigiose compagini europee e naturalmente trascinatori delle rispettive nazionali in un Mondiale che ha il pregio dell'irriverenza e di quel pizzico di salutare follia che lo rende ancora più gustoso.
Non chiamate sorprese il Belgio e la Croazia, non sorprendetevi per le virtù dell'Inghilterra targata Southgate, non restate incantati dinanzi al fascino e alla tecnica sopraffina di Harry Kane e non sbalorditevi se la plurititolata Germania, la pluricelebrata Spagna e il Portogallo di CR7, invece, arrancano perché la meraviglia dei Mondiali è anche questa, soprattutto questa.
Nulla è scontato, già scritto, prestabilito: bisogna mettere in conto tanto la caduta degli dei stramilionari quanto la rivincita degli uomini, magari milionari anch'essi, ma meno abituati a finire sotto la luce abbagliante dei riflettori. E così può accadere che l'Arabia Saudita batta l'Egitto allo scadere e che il piccolo Iran sfiori l'impresa contro i lusitani campioni d'Europa in carica, così come può capitare che la megagalattica Russia subisca un netto 3 a 0 da un paese, l'Uruguay, composto da tre milioni e mezzo di abitanti e che il già eliminato Marocco faccia venire i brividi alle furie rosse di Hierro, con mezza squadra composta dagli assi di Real Madrid e Barcellona.
Capita, poi, che la Colombia di Cuadrado elimini la Polonia e che i tifosi di Panama esultino come se avessero vinto, per aver segnato, con Boloy, il gol della bandiera, dopo averne subiti ben sei dagli inglesi.
E che dire della Serbia battuta dalle reti di Xhaka e Shaqiri, due campioni di origini kosovare?
Lo abbiamo detto e lo ribadiamo: se ai Mondiali fosse tutto prevedibile, già scritto ed evidente, non avrebbero il fascino straordinario che miliardi di persone, in ogni angolo del globo, riconoscono loro e non monopolizzerebbero l'attenzione di tifosi provenienti da tutti i continenti e dalle più disparate esperienze umane, politiche, sociali e di vita.
I Mondiali sono un qualcosa di unico, forse ancor più delle Olimpiadi, proprio per ciò che di inatteso racchiudono in sé, per il fatto che la sorpresa sia sempre dietro l'angolo, che la giocata possa riuscire tanto al fuoriclasse quanto al gregario, che non ci sia nulla di ovvio o di deciso a tavolino, in quanto non è pensabile stabilire preventivamente una gerarchia che abbracci l'intero pianeta.
Certo, ci sono stati degli errori arbitrali, ad esempio a vantaggio della Germania contro la Svezia, e l'amaro sospetto che a qualcuno un Mondiale senza tedeschi sia sembrato un affronto ci è venuto eccome. Fatto sta che non c'è nulla di prevedibile nella prodezza all'ultimo respiro di Kroos, colonna del centrocampo del Real, punto di riferimento della propria Nazionale, vincitore di un Mondiale e di quattro Champions League e campione unico per umiltà, determinazione e attaccamento alla maglia.
Così come nessuno avrebbe potuto prevedere, fino a dieci giorni fa, che l'Argentina di Re Leo avrebbe rischiato l'eliminazione già al primo turno e che compagini africane come la Nigeria e il Senegal avrebbero messo in mostra talenti di cui senz'altro sentiremo ancora parlare.
Non l'avevamo previsto, ma è proprio questo il bello, e anche le grandi squadre europee lo sanno, al punto che il mercato subirà una drastica accelerazione al termine del torneo, quando, con ogni probabilità, il Madrid si regalerà uno fra Kane e Lukaku, Lotito fisserà finalmente il prezzo di Milinković-Savić e le altre magne società del Vecchio Continente potranno lanciarsi all'assalto dei gioielli messisi in vetrina nel corso della kermesse iridata.
E ai puristi con il ditino perennemente alzato non rimarrà che comportarsi come gli inglesi nel '50, quando lessero il risultato di Inghilterra-Stati Uniti e pensarono che si trattasse di un 10 a 1; invece no, avevano vinto proprio gli americani per 1 a 0, grazie al gol di Joe Getjens, un funambolo haitiano naturalizzato statunitense, dalla vita avventurosa e dalla triste sorte. Ai primi tre Mondiali gli inglesi non si erano degnati di partecipare per presunto eccesso di superiorità, al quarto la loro presunzione è stata punita a dovere. A dimostrazione che no, non è una competizione come le altre e, soprattutto, che non basta essere i più ricchi o i più forti per vincerla.