Trent'anni dalla scomparsa di Giuseppe Saragat, il presidente umano, socialdemocratico e dotato di una cultura di governo di cui pochi, in passato e nel presente, dispongono.
Saragat, un figlio del Novecento e delle sue tragedie capace di proiettarsi nella modernità, esponente di primo piano della Resistenza e sempre in battaglia contro ogni fascismo ma anche dotato di un realismo politico particolarmente spiccato che lo indusse a rompere con il PSI dell'"amico-rivale" Nenni, determinato a dar vita al Fronte Popolare con Togliatti in vista delle elezioni del '48, e a fondare il PSLI (Partito Socialista dei Lavoratori Italiani), consentendo alla cultura socialdemocratica di partecipare al governo del Paese, di sicuro rendendo migliori e più proficui gli esecutivi di cui il suo partito ha fatto parte.
Senza dimenticare il suo settennio al Quirinale, in seguito alla burrascosa presidenza di Segni, avvelenata dal caso SIFAR e caratterizzata da un conservatorismo eccessivo che tanti danni ha arrecato all'Italia e tanti altri gliene avrebbe potuti provocare se non si fosse bruscamente interrotta per via della trombosi cerebrale che lo colpì nell'agosto del '64, costringendolo pochi mesi dopo alle dimissioni.
Non furono anni facili. Eravamo nel cuore dei Sessanta, con le rivolte giovanili alle porte e poi nel vivo, piazza Fontana e l'inizio della Strategia della tensione, una crisi politica devastante che nel '72 avrebbe portato alle prime elezioni anticipate della storia repubblicana, la fine del centrosinistra e un repentino mutamento degli equilibri internazionali.
Divenuto senatore a vita nel '71, Saragat ha costituito per decenni il volto umano di una politica che era indubbiamente migliore di quella attuale, sia detto senza eccessi di rimpianto o di nostalgia, e ha tenuto alta la bandiera di una nobile tradizione che ha reso possibili alcune fra le riforme più progressiste che si siano viste nella controversa vicenda di questa Nazione a sovranità limitata.
Incombeva sul PSDI il sospetto di essere il "partito americano" e non c'è dubbio che in certi casi i socialdemocratici abbiano assunto posizioni discutibili, prima fra tutte l'incomprensibile decisione dello stesso Saragat di non recarsi ai funerali delle vittime della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Diciamo che in quel caso la sua umanità fu messa a dura prova da non si sa quale ragion di Stato, e questo costituisce una macchia indelebile sulla sua carriera e sulla sua concezione del mondo. Ciò non toglie, tuttavia, che stiamo parlando di uno dei politici più saggi e lungimiranti in assoluto, di un protagonista della vita pubblica e di un uomo le cui intuizioni hanno arrecato immensi benefici alla sinistra italiana lungo il suo complesso e travagliato percorso.
Giuseppe Saragat, trent'anni dopo. Ricordarlo è un dovere, in quest'Italia in cui parlare di umanità sembra essere diventato un controsenso.