Il caso Aemilia conferma quanto in Emilia-Romagna la mafia si sia radicata nel sistema. Ha contatti con la massoneria, la Corte di Cassazione, professionisti di vari settori, mass e local media, forze dell’ordine, politici, amministratori comunali e la Chiesa. Un vero e proprio veleno che si è propagato nella nostra società.
L'operazione che ha portato la 'ndrangheta dell’Emilia-Romagna sotto processo è iniziata con l'arresto di 160 persone nel gennaio 2015: tra loro imprenditori, esponenti delle forze dell'ordine e della politica. Si indagava sull'esistenza di un'associazione in Emilia-Romagna legata alla cosca Grande Aracri: il gruppo criminale mirava ad acquisire la gestione di attività economiche, compresi i lavori per il sisma del 2012, e ottenere appalti pubblici e privati, oltre a ostacolare il libero esercizio del voto nelle elezioni dal 2007 al 2012 nelle province di Parma e Reggio Emilia.
Il 31 ottobre 2020 le condanne di primo grado, che hanno confermato l'esistenza di un'associazione affiliata all’ndrangheta, operante dal 2004, legata alla cosca di Cutro, con epicentro a Reggio Emilia. La sentenza della Corte di Cassazione del 7 maggio 2022 ha concluso il processo Aemilia, confermando 75 condanne su 87 imputati. Il boss Michele Bolognino, condannato a 20 anni e 10 mesi, è stato l'unico a non optare per il rito abbreviato. La 'ndrina emiliana controllava i territori di Parma e Reggio Emilia da anni, anche dopo il suo arresto avvenuto nel 2015.
Il processo Aemilia mette in luce la sfida che la 'ndrangheta è ed è stata per Emilia-Romagna. Le condanne confermano la presenza di un sistema criminale, ma anche la determinazione delle autorità. La lotta richiede cooperazione e consapevolezza: siamo chiamati a difendere la nostra comunità e a lavorare insieme per un futuro senza infiltrazioni criminali.