«La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Spero solo che la fine della mafia non coincida anche con quella fine dell'uomo». Così Giovanni Falcone spiegava la criminalità organizzata a Marcello Padovani, giornalista che nel 1991 ha pubblicato il saggio Cose di Cosa nostra.
Il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone atterrò all'aeroporto di Palermo intorno alle 16:45. Nel viaggio sulla A29, autostrada in direzione di Capaci, alle 17:58 una forte esplosione provocata da 500 kg di tritolo, RDX e nitrato d'ammonio, provocò la morte di cinque persone, incluso Falcone, sua moglie Francesca Morvillo, e gli agenti della scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.
Le macchine della scorta viaggiavano a 130 km/h, mentre Falcone, alla guida in mezzo alle tre vetture, viaggiava a 90 km/h. A segnalare l'arrivo dell'auto, Giovanni Brusca e i suoi uomini che avevano piazzato un frigorifero lungo il ciglio della strada, così da non mancare il bersaglio. Brusca era collocato in cima alla collina e fu lui ad attivare l'esplosivo. La prima auto viene presa in pieno e sbalzata fuori dalla strada 10 metri in avanti. La seconda auto si schianta contro il muro d'asfalto che si era innalzato con l'esplosione dovuta alla bomba. Giuseppe Costanza, l'autista di Falcone, sopravvive, mentre Falcone e sua moglie muoiono poche ore dopo sull'ambulanza nel tragitto verso l'ospedale civico di Palermo.
Falcone ha dedicato la sua vita a un ideale nobile, poiché credeva nella legalità e difendeva le sue idee con coraggio. Nel 2007 gli è stata conferita alla memoria la medaglia al valor civile, diventando un vero eroe nazionale. Crediamo che questi meriti siano stati giustamente assegnati, poiché Falcone rappresenta il salvatore che oggi ci permette di sentire parlare molto meno della mafia, anche se sappiamo che la battaglia non è ancora finita.