Perdita di fede o apertura a nuove religioni? Italia post cattolica o Italia multiculturale? In cosa credono i ragazzi? Noi l’abbiamo chiesto proprio a loro, i giovani, per cercare di trovare delle risposte a tutte quelle domande che nell’ultimo decennio stanno facendo discutere il Paese.
Qualcosa sta cambiando
I dati ISTAT, Istituto nazionale di statistica, del 2022 parlano chiaro: le Chiese si svuotano e sale drasticamente l’età media di chi ancora frequenta con costanza il luogo di culto. Solo il 9% dei giovani tra i 13 e i 35 anni si reca in Chiesa almeno una volta a settimana e il 43% non ci si reca affatto. Un altro dato rilevante è quello che ci mostra il crollo dei nati battezzati: se nel 1990 più del 95% della popolazione ha ricevuto il primo sacramento, nell’ultimo decennio l’ha ricevuto solo il 70% dei nascituri. Un vento di cambiamento ha aperto le porte delle Chiese e si è insinuato lento tra le famiglie e i banchi di scuola. Un vento che si è abbattuto sulle tradizioni secolari di un’Italia cattolica e che ha portato a galla il desiderio di aprirsi a nuove culture, di mettere in dubbio quelle credenze che da generazioni si tramandano ai figli come un tesoro prezioso da custodire e lasciare in eredità.
In cosa credi?
I ragazzi esitano quasi tutti, poi le loro voci, come chi per molto tempo si è posto dentro di sé una domanda, spezzano il silenzio. Una parte dei ragazzi afferma di credere in un “Dio cristiano, un Dio onnisciente e onnipotente, detentore di un disegno divino che coinvolge tutti noi”. La maggior parte risponde che sì, crede in “un’entità superiore forse responsabile di quella piccola scintilla che ha dato avvio al Big Bang, ma che questa entità non coincide affatto con Dio.” Poi alcuni di loro aggiungono che negli ultimi anni si stanno avvicinando sempre di più alle filosofie orientali, in particolare al buddismo, di cui apprezzano il concetto di “rinascita e possibilità di riscatto. È vero che le cattive azioni vengono punite, ma è vero anche che fatto esperienza di ciò si può tornare sulla strada giusta. Nel cristianesimo, invece, non esiste una soluzione alla punizione divina eterna”.
Sei praticante?
È interessante notare come solo alcuni dei ragazzi che avevano precedentemente risposto di credere in Dio si definiscono anche praticanti, molti di loro sono sempre stati abituati a “credere e frequentare la Chiesa in momenti come Natale e Pasqua”, ma affermano anche che la loro frequentazione non va oltre i momenti di festa, proprio perché spinti più che altro da una tradizione familiare. C’è poi chi è ben convinto delle proprie scelte, da chi non frequenta a chi si reca in Chiesa con una fede viva e autentica. Tra questi ultimi un ragazzo racconta: “La mia famiglia non è molto credente. Sono stato battezzato più per tradizione che per un vero credo, ma quando è arrivato il momento in cui ci si approccia al catechismo i miei genitori mi hanno chiesto se volessi farlo o no. Inizialmente non ho voluto, ma poco dopo mi sono reso conto che forse era la mia strada e sono tornato sui miei passi. Ringrazierò sempre i miei genitori per avermi chiesto se volessi intraprendere quel percorso senza imporsi e senza dare nulla per scontato; è stata proprio quella domanda che mi portato a una profonda riflessione sulla mia religiosità. Mi rendo conto che uno degli errori più grandi che oggi viene commesso parlando di religione è proprio imporre una fede, qualsiasi essa sia, sui proprio figli dando per scontato che sia la cosa giusta da fare”. Una risposta appare più evidente delle altre: più che ragazzi che credono o che non credono ci troviamo di fronte a una generazione consapevole, forse più dei nostri genitori e nonni. Una generazione che si pone domande sulla propria religione e che è spinta alla ricerca di ciò in cui crede davvero. Quindi no, non si tratta di giovani che perdono la fede, ma che al contrario la ricercano in ogni cultura, in ogni domanda, in ogni angolo del mondo.