Genitori 50enni di adolescenti che passano le giornate su Tik Tok e Instagram con utilizzo improprio. Che rischi ci sono e come incide sull’educazione dei ragazzi? Lo psichiatra, sociologo e saggista Paolo Crepet, ospite ai microfoni di Zai.Time, ha parlato del rapporto intergenerazionale puntando il dito sui genitori e sulle conseguenze dei loro atteggiamenti troppo giovanili e talvolta immaturi: i ragazzi si ritrovano così senza un punto di riferimento adulto con importanti conseguenze psicologiche.
Nel suo libro in uscita "Prendetevi la luna" parla di infantilizzazione genitoriale. In che senso?
I social sono un mercato ed è un meccanismo identico all'eroina: più se ne fa uso e più aumenta la voglia di utilizzarli; più se ne fa uso e più si ha voglia di apparire straordinari. Sui social si comunicano battute, non idee. Più gli adulti stanno sui social, più i nostri figli ne traggono esempio. Non ha senso scandalizzarsi quando succedono fatti gravi come quelli della recente cronaca: viviamo tutti in un Grande Fratello e tutti i genitori sono potenzialmente in grado di sapere cosa fanno i propri figli.
Questo accade anche a scuola. Quali sono gli errori più comuni da parte dei genitori?
Che fanno troppe cose e le fanno male. Si occupano di troppe cose di cui non dovrebbero occuparsi, come della scuola. Una delle idee peggiori degli ultimi anni è il registro elettronico, che consente alle famiglie di entrare in classe, interferendo nella negoziazione ragazzo-scuola. Ormai la scuola è una sorta di Grande Fratello che non consente ai ragazzi di fare le cose di proprio conto, anche trasgredendo.
Perché è importante portare la tecnologia a scuola?
La scuola oggi dovrebbe avere come materia di studio l'apprendimento attraverso la rete per insegnare ai più giovani a fare ricerche attraverso i diversi motori. Mi piacerebbe che gli insegnanti non temessero internet ma lo sfruttassero per insegnare. Più si demonizza la rete più si spingono i giovani a utilizzare male i social.
"Prendetevi la luna" è però anche un libro di speranza
Non voglio fare l'errore di parlare genericamente di "giovani": non sono una categoria sindacale ma sono individui differenti. La speranza è proprio nell'unicità.