Dinosauri al potere
Soliti nomi, solite priorità. Anche questa volta il Parlamento non saprà rinnovarsi
Benedetta Piatti | 7 settembre 2022

“In questa nuova Repubblica non ci somiglia nessuno”. Questa frase cantata da Venditti nel 1995 rappresenta il grido di rabbia che i giovani italiani rivolgevano alla propria classe politica ed è tutt’oggi attuale, anche perché “In questa nuova Repubblica, si somigliano tutti alle precedenti Repubbliche”.

La presenza di under 35 presentati nelle liste dei principali partiti corrisponde a meno del 10%. Un numero bassissimo, mentre i cosiddetti veterani del Parlamento non hanno alcuna intenzione di farsi da parte. Questo perché la Repubblica punta sempre più sull’affidabilità e chi meglio di una persona con rughe e capelli bianchi può rappresentare questo “valore”? A guidare la classifica dei “dinosauri del potere legislativo italiano” è Pier Ferdinando Casini, il cui ingresso alla Camera viene siglato nel lontano 12 luglio 1983. 10 legislature che lo terrano in campo per oltre 39 anni. Ricandidato del Pd, si appresta a cominciare la sua ennesima candidatura. Al secondo posto troviamo il senatùr lombardo, Umberto Bossi, che entra al Senato il 2 luglio 1987, per poi passare dalla Camera al Parlamento europeo. Il 25 settembre è candidato come capolista alla Camera dei deputati. Medaglia di bronzo per Maurizio Gasparri, il cui cammino attraverso la politica italiana inizia il 23 aprile 1992 con il suo ingresso alla Camera. Rimarrà deputato con Alleanza Nazionale fino al 2008. Oggi, è candidato al Senato nel collegio di Roma. Se, per un attimo, ci guardiamo attorno vediamo come il partito di Berlusconi in Lombardia abbia candidato 32 persone, di cui un solo under 35. Nella stessa situazione si trova la Lega che tra 41 candidati presenta un solo “giovane”. Dei 67 del Pd solo 10 hanno meno di 35 anni. Mentre il terzo polo, su 61 candidati ne piazza solo 4.

Tutto ciò può essere ricondotto ad un grande paradosso: il rapporto, tutt’oggi complicato e dibattuto, tra la classe politica e le nuove generazioni. Questo perché la visione della prima non coincide affatto con quella delle seconde. Più della metà tra Millennials e Generazione Z dichiara che i partiti e i politici si mostrano sempre più disinteressati ai problemi dei giovani. Per esempio secondo l’Institut français d'opinion publique, il 96% di questi ultimi auspica un maggior interesse verso la tutela dell’ambiente e il cambiamento climatico. Allo stesso tempo, il 67% condanna ogni tipo di atteggiamento discriminatorio e razzista, cercando di spostare il dibattito politico verso la solidarietà. Infine, il 30% degli under 35 vorrebbe più giovani al potere e meno gerontocrazia. Ma ciò sarà possibile solo quando la nostra classe dirigente deciderà di portar avanti proposte espressamente giovanili e quando si deciderà di attivare un confronto intergenerazionale. Finché ciò non accadrà questa situazione rimarrà sempre come un cane che si morde la coda. Questo fenomeno, tuttavia, evidenzia una delle tante conseguenze della nostra demografia: meno del 40% degli italiani ha meno di 40 anni e questo condiziona, senza mezzi termini, le scelte politiche. Basti guardare come la cosiddetta gerontocrazia distribuisca la spesa pubblica: secondo il Report 2020 nel sistema pensionistico viene investito il 37-40%; mentre solo l’8% viene impiegato nell’istruzione e nella ricerca.

La domanda che ora ci si pone è: sarà possibile un’inversione di rotta? Solo se al posto dell’affidabilità citata prima si puntasse alla fiducia reciproca tra i nostri politici e i nostri giovani, allora sì, sarà possibile. Perché come dice l’imprenditore e politico statunitense Bernard Baruch: “Un leader politico dovrebbe guardarsi le spalle tutto il tempo per verificare che i giovani lo seguano. Se questo non accade, non potrà essere a lungo un capo politico”.