Da Zaporizhia a Roma
La storia di Halyna, accolta a Roma con suo figlio da Arci Solidarietà
Giulia Metalli | 9 maggio 2022

Halyna ha 38 anni, è un’ingegnera ed è fuggita dalla guerra. Il suo lungo viaggio verso l’Italia è iniziato a metà marzo, quasi un mese dopo lo scoppio del conflitto, quando dalla sua città natale, Zaporizhia, poco lontano dalle zone attualmente occupate dai russi, è giunta a Roma con suo figlio di dieci anni. È stato lui il motivo che più di tutti l’ha spinta a scappare, lasciando alle proprie spalle suo marito. Lui non può andarsene e nonostante non sia parte dell’esercito è pronto a combattere. Come è stata pronta lei, in quei terribili giorni di febbraio, quando come tanti altri ha dovuto preparare la resistenza, imparare a costruire una Molotov. “Mio marito diceva che dovevo prendere nostro figlio e salvarlo. Andare via”. Andare via, per evitargli un trauma ancor più grande di quello già vissuto, per far si che il suo peggior ricordo sia “solo” la finestra della loro abitazione che va in frantumi e le notti passate nelle cantine per evitare le bombe.

Con Halyna oggi a Roma c’è anche sua madre, una donna disabile, paralizzata, per cui la fuga sembrava inizialmente impossibile. Nelle notti nei bunker, Halyna era costretta a lasciarla sperando di rivederla il giorno successivo. Ci spiega che la possibilità di scappare prima dal Paese non era neppure contemplata nella loro situazione. Nei treni una cabina per quattro o due persone arrivava a contenerne venti, non c'era posto per loro.

Arriva Marzo. Halyna trova su Facebook l’annuncio di un viaggio verso l’Europa per persone disabili. Non sa dove andranno ma decide di partire e con lei sua madre, suo figlio ma anche sua sorella e suo nipote. “Ci avevano detto che ci sarebbero state le condizioni per far viaggiare persone disabili. Non c’erano. Era un treno normale alla fine, solo con meno gente”. E così la situazione di sua madre si è aggravata durante il viaggio. “La situazione era terribile, ho provato ad aiutarla ma servivano i dottori. Non potevo tornare indietro e ho solo pregato che arrivasse almeno viva”.

Dopo 14 ore di treno e 35 ore di bus il viaggio di Halyna si conclude, ma la guerra non è finita. La speranza però non muore. Torneranno a casa, lei lo sa, quello che non sa è se ci sarà ancora una casa in cui tornare.