"Perché sei triste?" "Mangiamo i biscotti e divertiamoci"
Questo disegno ce lo ha dato poco fa Nadiia. Ha 14 anni e ha passato 13 giorni nei bunker dell'ospedale di Kiev prima di riuscire a raggiungere l'Italia. "Ogni volta che mangiavo pensavo fosse l'ultima" ci racconta quando rivive quello che provava lì sotto, tra topi e scarafaggi, mentre fuori scoppiavano le bombe. Ma Nadiia sembra già aver ritrovato la voglia di vivere. "WOW" ha urlato quando ha visto la stanza dove abbiamo accolto lei e la mamma, per non dire del suo stupore quando si è affacciata dalla nostra terrazza e ha visto Roma per la prima volta. Nadiia non è l'unica ragazza ucraina che abbiamo accolto in questi ultimi giorni. C'è Denys, il secondo Denys ucraino a Peter Pan, che è arrivato con la sua famiglia e con il papà che gli donerà il midollo osseo. C'è Roman con la mamma e la nonna che aveva vissuto 13 anni in Italia ed è diventata una specie di mediatrice linguistica nella Grande Casa. C'è Maksym, che ha 13 anni ed è già alto 1.80 ed è arrivato con la mamma. Bambini, ragazzi, adolescenti. Ognuno con la propria storia. Tutti con sogni, speranze e il diritto a vivere, a curarsi e a sentirsi amati e protetti. Ci auguriamo che per loro un giorno tutto questo sarà solo un brutto ricordo. Per il momento... abbiamo fatto il pieno di biscotti.
L'associazione Peter Pan, nata per accogliere i pazienti di oncologia pediatrica che con le loro famiglie devono raggiungere Roma per curarsi, non è rimasta ferma davanti all'orrore della guerra. Attualmente ospita sei nuclei famigliari provenienti dall'Ucraina, per un numero complessivo di 17 persone. È un associazione con larga esperienza nell’accoglienza di famiglie dall’estero, che solo nel 2021 hanno rappresentato il 30% degli arrivi, anche dall’Ucraina, e garantisce all’intero nucleo familiare accolto tutti gli strumenti di integrazione necessari a vivere il periodo della malattia lontano da casa nel modo più sereno possibile. Attraverso la sua rete di volontari, e con il supporto di psicologi e docenti, fa di tutto per “aggiungere vita ai giorni dei bambini e dei ragazzi” che combattono il cancro, restituendo loro i diritti negati dalla malattia, facilitando in più un rapido recupero psicofisico attraverso una quotidianità fatta di ascolto, gioco e scuola nel tempo libero dalle terapie. Grazie alle donazioni ricevute da private e aziende Peter Pan garantisce ospitalità e servizi a titolo gratuito per tutto il tempo necessario. Per capire meglio la condizione dei bambini ospitati e delle loro famiglie, abbiamo intervistato il Direttore Generale di Peter Pan, Gian Paolo Montini.
Le guerre da cui questi bambini scappano sono tre: due, quella combattuta con le armi e quella combattuta con le medicine e poi c'è una terza, quella combattuta con giocatoli che mira a restituire loro il sorriso. Come si combatte quest’ultima?
Il sorriso si ritrova donando amore, accogliendo con umiltà e la pace nel cuore. Un bambino che ritrova il sorriso è l’arma più potente contro ogni violenza.
I bambini e le loro famiglie sono ancorati ai giochi, ai parenti e alle case che hanno lasciato, come si fa a convincerli che hanno un futuro che li aspetta?
Ricreando intorno a loro una normalità fatta dei cari che sono rimasti vicini, dando una casa il più accogliente possibile, dove anche i colori e la cura delle cose è fondamentale come anche il cibo che a loro piace. Inserendoli nella scuola e nello sport. Sostenendo il loro lutto per la perdita della casa, dei loro luoghi, della distanza dai loro cari e in molti casi dei loro cari. Solo in una comunità di fratelli si può affrontare tutto questo e dobbiamo fare in modo di creargliela.
I bambini hanno voglia di raccontare quello che hanno visto?
Alcuni no soprattutto appena arrivati, sono spaventati e disorientati anche per la lingua sconosciuta. Altri, soprattutto alcuni adolescenti, hanno voglia di parlare e raccontare anche i particolari più drammatici.
Vivono il loro passato come un bel ricordo a cui vogliono tornare oppure vogliono sperare in un futuro migliore del passato?
Tutti vogliono tornare a casa, genitori e figli. Ritrovarsi coi loro cari rimasti e nelle loro comunità. Sono tutti fuggiti costretti, l’unica consolazione per alcuni è poter continuare a curare i propri figli malati.