Essere trans nell'Italia degli anni Sessanta significava prostituzione come unica possibilitá di sostentamento, repressione continua da parte della societá e dello Stato e alto rischio di essere arrestati. Al giorno d'oggi ciò potrebbe apparire lontano, in quanto la societá si é evoluta fino all'accettazione di questa minoranza. Dopo la discussione (e il fallimento) del DDL Zan, si è tornati a fare luce su una comunitá tutt'ora oppressa, per certi versi.
Una lunga terapia
In Italia il percorso di terapia ormonale e chirurgica è molto lungo. Si stima che ci siano circa quattromila persone transessuali nel nostro paese, ma solo sessanta all'anno riescono a concludere la transizione. Per iniziare la terapia ormonale bisogna recarsi in uno dei pochi centri specializzati in Italia per farsi riconoscere la disforia di genere, che spesso viene però etichettata come "bassa autostima" dal personale sanitario. Molte cliniche inoltre, creano un ambiente ostile. Contando tutti questi fattori, per una persona transessuale, iniziare la terapia ormonale richiede dai 2 ai 5 anni.
L'iter burocratico
La questione del cambio anagrafico è molto complessa, e spesso la carta d'identità continua a riportare il sesso di assegnazione alla nascita. Ciò diventa un vero e proprio fardello per le persone trans detenute nelle carceri italiane. Le donne transessuali vivono separate dagli altri detenuti, sono oggetto di molestie sessuali e, al tempo stesso, di disgusto. Inoltre, non possono contare su controlli medici specifici nella somministrazione degli ormoni. Secondo i dati, ogni anno nelle carceri italiane una persona transessuale su quattro si suicida o commette atti di autolesionismo.
Con questi dati, l'Italia vappare come uno Stato retrogrado, transfobico, che opprime le minoranze. E per questo le nuove generazioni e la comunità LGBT continueranno a lottare.