Senza Higuaín, risparmiato in vista della sfida di domani sera contro la Roma che potrebbe assegnare matematicamente il settimo scudetto consecutivo ai bianconeri, e con un Douglas Costa che si è acceso solamente nella ripresa, la Juve mercoledì sera ha avuto la meglio sul Milan con un rotondo 4 a 0. Un risultato severo ma giusto, anche se va dato atto ai ragazzi di Gattuso di aver retto per circa un'ora con coraggio e dignità, non riuscendo a segnare solo perché davanti a sé si sono trovati un Buffon che sembra riuscire a parare anche il tempo che, purtroppo, passa impietoso. E la differenza fra Juve e Milan sta tutta qui: c'è chi ha in porta Buffon, che salva il risultato in diverse occasioni decisive, e chi può schierare tra i pali un ragazzo di belle speranze di nome Donnarumma che però, prima di essere considerato l'erede di Gigi, dovrà farne di strada. Oltretutto, duole dirlo, per quanto sia bravo e perbene, sembra non possedere il medesimo attaccamento alla squadra, quello che, ad esempio, indusse un campione del mondo, secondo nella corsa al Pallone d'oro, a scegliere di rimanere alla Juve per aiutarla a risalire dalla Serie B quando gli squadroni di mezzo mondo lo avrebbero riempito di milioni pur di accaparrarselo.
Donnarumma, secondo me, non lo avrebbe fatto e qui sta il divario incolmabile fra i due. Buffon è un uomo, Donnarumma è un ottimo giocatore. Potrà diventare un uomo, liberandosi di alcuni atteggiamenti infantili e smettendola di lasciarsi influenzare da un procuratore oggettivamente ingombrante che forse, a quell'età, gli fa più male che bene? Ce lo auguriamo di cuore per lui, ma certo è che, se dovesse andare al Paris Saint-Germain, dimostrerebbe in maniera definitiva di essere uno dei simboli di questa amara stagione: tanto talentuoso quanto incapace di resistere al fascino del denaro, come se peraltro al Milan lo pagassero poco!
Buffon è un uomo perché è figlio di altri tempi, proveniente da una famiglia di sportivi e formatosi calcisticamente in quell'isola felice che fu il Parma degli anni Novanta, per poi passare alla Juve già maturo e trasformarsi progressivamente in una leggenda del calcio mondiale.
Buffon è Buffon perché dietro ha una società che, nel tempo, è stata capace di rinunciare finanche alla classe sconfinata di Sivori pur di mantenere fermo il principio secondo cui tutti sono utili ma nessuno è indispensabile e, soprattutto, nessuno può permettersi le alzate di ingegno che Gigio e il suo procuratore stanno attuando da anni nei confronti del Milan.
Ero tra coloro che lo stimavano e ne auspicavano persino lo sbarco a Torino in sostituzione di un Buffon ormai prossimo ad appendere i guantoni al chiodo: mi sono ricreduto e credo che bene abbia fatto la Juve a puntare sulla serietà di Szczesny, che non è e non sarà mai Buffon ma non è certo un cattivo portiere e ha già dimostrato sul campo tutto il suo valore.
Mi dispiace, oltretutto, perché sono convinto che, se rimanesse al Milan, un allenatore come Gattuso potrebbe farlo crescere a dovere, proprio come fece con Dybala a Palermo, quando gli insegnò a non esagerare con i dribbling e le giocate ad effetto perché la mancanza di rispetto nei confronti degli avversari è sempre e comunque esecrabile.
Tornando alla partita, nella ripresa è stata un monologo juventino, con un Benatia sugli scudi (sua la doppietta che, di fatto, ha piegato i rossoneri, anche se dovrebbe smetterla di mimare il gesto di una pistola che spara per esultare), Douglas Costa che, quando prende velocità, diventa irrefrenabile e il povero Kalinić a siglare con una mesta autorete il gol del 4 a 0.
La verità è che, ancora una volta, la partita l'ha vinta Allegri, con la sua saggezza nella gestione del gruppo, i suoi cambi oculati e l'intelligenza che ha dimostrato nel mandare in campo Marchisio a pochi minuti dalla fine, cui ha fatto seguito la grandezza di capitan Buffon che gli ha permesso di alzare la coppa al suo posto e di sentirsi pienamente protagonista di una stagione nella quale è stato, sostanzialmente, un comprimario. In un centrocampo che a breve dovrebbe arricchirsi di Emre Can, per questo figlio del vivaio bianconero ci sarà sempre meno spazio; tuttavia, l'auspicio è che rimanga lo stesso e dia comunque il proprio contributo perché è anche dalla presenza di giocatori così, umili e innamorati della maglia, che si misura il livello di una squadra.
Non saranno più i tempi di Boniperti, ci si lascerà pure andare a qualche dichiarazione di troppo, non c'è dubbio che il clima complessivo del mondo, non solo del calcio, non aiuti; fatto sta che lo stile Juve esiste e resiste anche all'esaurirsi del buon gusto e del grado minimo di civiltà cui stiamo assistendo in questa fase storica.
Sette scudetti e quattro coppe Italia di fila, del resto, non si vincono se non si è una corazzata, prima fuori e poi dentro il campo, se non si è uomini per l'appunto, come hanno dimostrato di essere coloro che c'erano anche quando le cose andavano male e bisognava ricostruire tutto dopo l'onta della cadetteria.
La Juve ha cominciato a vincere il giorno in cui ha appreso il verdetto della retrocessione perché, anziché fermarsi a piangere, ha iniziato faticosamente a ricostruire e a ritrovare la propria anima e la propria identità.
Un ciclo si sta concludendo, un altro se ne aprirà a breve e la campagna acquisti si preannuncia pirotecnica. Non è da tutti arrivare al traguardo stanchi, sfiniti e con una formazione che mostra ormai evidenti segni di cedimento e di logoramento e poter, tuttavia, gridare a perdifiato di avercela fatta, di essere ancora i primi, di non aver mollato neanche quando chiunque altro lo avrebbe fatto. Questo è lo stile Juve, questa è la sua forza e la sua unicità.