Dopo quattro tornate elettorali dal risultato incerto finalmente Israele ha un accordo di governo: salvo sorprese - tutt'altro che impossibili - l'era Netanyahu sta per finire dopo dodici anni.
Sebbene Likud, il partito dell'attuale premier, sia stato il più votato alle elezioni di marzo, Netanyahu non è riuscito a formare un nuovo governo, non raggiungendo la maggioranza richiesta di 61 seggi neanche con l'appoggio degli storici alleati. Il presidente Reuven Rivlin ha allora affidato l'incarico al leader di Yesh Atid - la seconda formazione più votata - Yair Lapid, che si è trovato nella situazione di trattare sia con i nazionalisti che con gli arabi: era infatti imprescindibile il supporto di entrambi per formare una maggioranza.
Un accordo storico
Nonostante le recenti tensioni con la Striscia di Gaza avessero messo in pericolo la riuscita dell'impresa, Yair Lapid è stato in grado di mettere d'accordo tutti i partiti dell'opposizione, che spaziano dalla destra nazionalista sostenitrice della costruzione di nuovi insediamenti ebraici nelle zone palestinesi, alla sinistra pacifista, passando per i deputati arabo-israeliani di Ra'am. È la prima volta che un partito rappresentante la popolazione araba di Israele - circa il 20% dei cittadini - prende parte al governo del paese. Ra'am è un partito per certi versi moderato, che sotto la guida di Mansour Abbas ha iniziato a puntare molto sulla pacifica coesistenza con la maggioranza ebraica.
L'incertezza della durata
In attesa del voto della Knesset (il parlamento israeliano) che darebbe ufficialmente vita al nuovo esecutivo, è stato stabilito che a ricoprire la carica di primo ministro non sarà Lapid, bensì Natfali Bennett. Ex ministro in diversi governi Netanyahu, è un forte sostenitore della costruzione di nuove colonie ebraiche in territorio palestinese, nonché un ultra-religioso di estrema destra. Ciò è sufficiente per far comprendere quanto l'equilibrio del governo sarà precario. Difficilmente le posizioni oltranziste dell'eventuale primo ministro Bennett saranno accettate dalla sinistra pacifista di Meretz e da Ra'am. L'unico progetto comune che unisce la coalizione è quello dell'eliminazione di Netanyahu, una figura scomoda, divisiva e negli ultimi anni macchiata da accuse di corruzione. Teoricamente, dopo due anni di governo, Bennett lascerà l'incarico a Lapid.
Il piano di Netanyahu
Ma, come detto, le sorprese potrebbero arrivare nei prossimi giorni. La grande coalizione di Lapid e Bennett supererebbe di poco i 61 seggi necessari per la maggioranza, e non è da escludere che qualche parlamentare voti contrariamente al suo gruppo, indisposto a trovare punti d'accordo con partiti così diversi dal proprio. Netanyahu ha lanciato un appello ai deputati di destra, esortandoli a non votare per un governo "di sinistra e pericoloso". Nir Orbach, del partito Yamina di Bennett, ha già annunciato l'intenzione di votare contro alla proposta di sostituire il presidente della Knesset, vicino all'attuale premier.
Cosa cambierà per la Palestina?
Non bisogna però interpretare la fine dell'era Netanyahu e la partecipazione degli arabi al governo come un vento di cambiamento per il destino della Palestina: il conflitto non è certamente iniziato con l'attuale governo, e difficilmente questo argomento verrà affrontato, vista la diversità delle posizioni a riguardo.