Quando sentiamo la parola “geisha”, nella nostra mente affiorerà l’immagine di una donna giapponese che indossa un bellissimo kimono e col viso truccato di bianco. Quest’immagine non è errata, ma ciò che le attribuiamo sì: infatti molto spesso si pensa alla geisha come una prostituta, cosa assolutamente sbagliata. E allora perché ne siamo così convintə? La causa è da ricercare nella Seconda Guerra Mondiale, quando i soldati statunitensi arrivarono in Giappone. Vedendo le geisha, belle, emancipate e servizievoli, pensarono che fossero prostitute, dato che in Occidente questo era l’unico mestiere che donne del genere potevano fare. Ben presto le geisha vennero sostituite con le prostitute che i soldati volevano, ma questi ultimi continuavano a chiamarle “geisha”, riportando in patria questa loro abitudine.
Le origini
La parola geisha formata da due caratteri: gei, che vuol dire arte, e sha, che vuol dire persona. Unendo i significati ricaveremo “artista”. Infatti le geisha sono delle artiste a tutti gli effetti: intrattengono i clienti grazie alle loro abilità nei vari rami dell’arte: dagli strumenti musicali alla retorica, dal canto alla danza. Le prime forme di geisha si possono trovare nel VII secolo. In questo periodo, caratterizzato dalla povertà, molte donne di basso ceto dovettero prostituirsi, e invece le donne meno povere, provenienti da famiglie ricche ormai in rovina, potevano permettersi di lavorare come danzatrici e cantanti al servizio di aristocratici. Entrambe venivano chiamate saburuko, servitrici. Più tardi nacquero le shirabyoshi, donne di famiglie aristocratiche cadute in povertà che ballavano una danza dello stesso nome, caratterizzata da preghiere e movimenti in onore degli dèi. Nel 1600 nacquero i primi geisha, ma erano uomini. Presto vennero sostituiti dalle intrattenitrici femminili che conosciamo oggi.
L'addestramento: dalla shikomi alla geisha
Nel passato le geisha venivano educate sin da bambine, all’interno di case dette okiya. Per diventare geisha dovevano passare varie fasi:
- Shikomi: il primo stadio in assoluto. Le shikomi svolgevano faccende domestiche, e la più giovane controllava se tutte le geisha della okiya fossero tornate a casa la sera. Col permesso della okaa-san (la padrona della okiya, letteralmente “mamma”) potevano andare all’hanamachi, il piccolo villaggio dove erano situate le okiya, le scuole per geisha e altri edifici, per imparare varie arti. Quando le shikomi diventavano sufficientemente brave, dovevano dare un esame di danza per passare al prossimo stadio.
- Minarai: le minarai venivano aiutate dalle compagne più grandi nel vestire il kimono, studiare e fare da assistenti alle ozashiki (buffet) insieme alle geisha.
- Maiko: l’ultimo stadio prima della geisha. Ognuna di loro veniva aiutata da un’onee-san (letteralmente “sorella maggiore”), una geisha, in ogni suo compito. In questa fase la maiko doveva inventare il suo nome d’arte con l’aiuto della onee-san.
- Geisha: passati 5 anni, la maiko diventava finalmente geisha. Essendo ormai in grado di procurarsi soldi autonomamente, la geisha doveva pagare il debito con l’okiya, in quanto mantenuta fin da shikomi a spese della okaa-san.
La geisha oggi
Oggi l’educazione non è cambiata molto, ma le aspiranti geisha iniziano dopo la scuola media o addirittura dopo l’università. Inoltre non devono pagare più il debito con la okiya, dato che sono pagate dallo Stato in base alle ozashiki a cui partecipano e ai clienti che servono. Sfortunatamente le geisha sono molte meno, sia perché ci sono meno ragazze che vogliono diventarle, sia perché lavorano molto meno.