"Le carceri più sovraffollate dell’Unione Europea sono quelle del nostro paese". È questo che dice il nuovo rapporto Space, appena pubblicato dal Consiglio d’Europa di Strasburgo, che vuole delineare annualmente la situazione dei sistemi penitenziari dei paesi membri dell’organizzazione paneuropea. Alla fine del gennaio 2020 l’Italia contava 120 detenuti ogni 100 posti, con un sovraffollamento del 120%. Seguita dal Belgio, con 117 detenuti ogni 100 posti, e preceduta soltanto dalla Turchia (non facente parte dell’Unione Europea), con 127 carcerati ogni 100, l’Italia detiene dunque questo triste primato.
Le cause che contribuiscono al sovraffollamento carcerario
Il notevole incremento del dato è probabilmente dovuto al crescente ricorso alla pena detentiva da parte dei legislatori, che dunque si allontanano dal modello penitenziario europeo basato sulla funzione rieducativa della pena, volta a tutelare la dignità umana. Tale situazione si aggiunge a quella preesistente delle scarse condizioni igieniche, che aggravano il quadro generale. In realtà il fenomeno rappresenta da sempre uno dei problemi più imponenti della Repubblica Italiana: ha origini antiche, e viene spesso affrontato come una conseguenza fisiologica degli istituti detentivi. Il sovraffollamento carcerario ad oggi, non può essere inquadrato come emergenza straordinaria, bensì come problematica strutturale, ed è per questo che la legislazione adottata fino ad ora, improntata su provvedimenti temporanei, non ha mai definitivamente risolto il problema.
Le possibili soluzioni
Secondo Marcelo Aebi, responsabile del rapporto Space, osservando i trend della popolazione carceraria italiana dal 2000 in poi, si delineano due strade possibili per risolvere la questione: la prima è la riduzione della durata delle pene, mentre la seconda riguarda la costruzione di nuovi istituti detentivi. Anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ha sottolineato nella conferenza stampa del 31 marzo scorso, la necessità di investire fondi europei del Recovery Fund in un nuovo “Piano Carceri”. In Italia infatti negli ultimi anni si è puntato per lo più sulla riqualificazione di edifici già esistenti o sulla conversione di quelli dismessi, piuttosto che sulla costruzione di nuovi, che richiedono tempi più lunghi. È stato però evidenziato come il sovraffollamento rappresenti una violazione vera e propria della legalità. Pare infatti che il fenomeno costituisca un oltraggio all’art. 3 CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo), che proibisce la tortura e il trattamento disumano o degradante, in cui rientrerebbe anche la mancanza di spazio personale.
Gli ulteriori effetti negativi
Tale condizione comporta una serie di ulteriori effetti negativi: innanzitutto si rende più difficoltoso l’apprendimento di una qualsiasi professione, considerata una prerogativa essenziale per il reinserimento sociale del detenuto. In secondo luogo, le condizioni di vita a cui sono sottoposti aumentano lo sconforto e il senso di abbandono dei reclusi, che, come dimostrato dai dati sui suicidi, spesso giungono a conclusioni tragiche. Anche il controllo sulle attività svolte all’interno del carcere ne risente, divenendo più arduo e aumentando in relazione alla crescita del dato dei carcerati. Ovviamente a causa di queste carenze, il rapporto del personale operativo ai detenuti è inferiore rispetto a quello richiesto.
L'emergenza Covid
Alla luce dell’aumento dei rischi epidemiologici a causa dell’emergenza da Covid-19, tale fenomeno rischia di condurre a conseguenze ben più disastrose con la diffusione del virus all’interno delle carceri. Lo stato di emergenza infatti, impone l’adozione di misure di prevenzione dal contagio in una realtà in cui è complicato mantenere adeguati parametri di distanziamento. La situazione è ulteriormente aggravata dalla presenza di detenuti con patologie fisiche contratte prima o durante l’incarcerazione, considerata la predisposizione del carcere ad essere un luogo di scambio di patologie ed infezioni. È allarmante il dato della Federazione Italiana Medici in Medicina Generale (FIMMG), che riportano il rapporto medico-pazienti pari a 1 per 315 detenuti. I primi provvedimenti sono stati attuati con il decreto legge dell’8 marzo 2020, che vietava di svolgere visite e colloqui in presenza, oltre che l’utilizzo dei permessi-premio e della misura di semilibertà. L’impossibilità dei detenuti di poter contattare i propri familiari, e la loro visione parziale della situazione pandemica, hanno generato numerose rivolte. Il clamore mediatico che si è generato ha consentito l’entrata in vigore del decreto legge del 17 marzo 2020, che prevedeva alcune concessioni. È quindi possibile constatare quanto l’inadeguatezza e le lacune del sistema penitenziario siano mezzo di diffusione per il Virus.