Ecologia, essere donna nel mondo del lavoro, body confidence and equality: sono queste le tematiche di cui Annalisa Monfreda, direttrice di Donna Moderna, oggi ci ha parlato.
Come è nata l’iniziativa di rendere Donna Moderna più green che mai, da collezione con la carta che avete usato e la “nuova” brossura?
È nata dalla percezione che il tema green non sia più un tema semplicemente per gli attivisti. La consapevolezza green è diventata fortissima anche per le nostre lettrici e abbiamo voluto dare un segnale tangibile, cambiando anche la carta. Volevamo che il numero settimanale diventasse come da collezione, perché conservare un numero è in qualche modo un gesto ecologico.
Quale è il progetto green che più l’ha stimolata di quelli che avete raccontato nel corso degli anni?
È il progetto che sta facendo la Chiesa, che ancora oggi è una grandissima proprietaria terriera. Una cartografa ha iniziato a mappare tutti questi beni della terra in una prospettiva ecologica per cercare di fare una rivoluzione dall’interno. Questo è uno di quei progetti che mi emozionano tantissimo perché è difficile per le istituzioni come la Chiesa cambiare.
Ha mai avuto difficoltà, in quanto donna, a ricoprire il ruolo di direttrice che lei adesso assume?
Difficolta percepite in quanto donna, no. Avendo ora più di 40 anni ed essendo diventata direttrice quando ne avevo 30, mi sono resa conto che tanti ostacoli, che non avevo visto, li ho riconosciuto con la consapevolezza dell’età, a posteriori. Il principale ostacolo è il mansplaying, ovvero l’atteggiamento degli uomini, anche non avendo una competenza negli ambiti in cui ce l’avevo io, di ambire a spiegarmi cose che io sapevo meglio di loro. Questi atteggiamenti non hanno danneggiato la mia carriera, ma non hanno aiutato a superare la sindrome dell’impostore.
Alla luce della sua recente pubblicazione “Come se tu non fossi femmina”qual è il consiglio più prezioso che darebbe alle giovani aspiranti giornaliste?
Nel libro ho parlato di sogni ed ambizioni. Tutti coloro che oggi vogliono fare i giornalisti si troveranno davanti persone che gli diranno che è un mestiere che sta morendo. Questo perché è un lavoro che sta cambiando moltissimo in questo periodo. Uno degli insegnamenti del mio libro è quello di non stare ad ascoltare i tentavi, che gli altri fanno per non farti credere in quello che tu difatti credi. Il primo passo è di non farsi condizionare da quelli che cercheranno di scoraggiarti lungo la strada e allo stesso tempo capire con umiltà come sta cambiando questo lavoro. Tutti oggi possono fare i giornalisti, avendo uno strumento con cui si può fare informazione; questo non ci autorizza a non conoscere le regole deontologiche di questo mestiere. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo una grande responsabilità nel fare informazione e inoltre dobbiamo conoscere bene tutti i nuovi mezzi. Bisogna crederci tantissimo e apprendere continuamente perché il cambiamento è davvero veloce.
In Donna Moderna sono molti gli articoli che promuovono stili di vita sani e soprattutto l’importanza della body confidence and equality, qual’è la sua opinione riguardi il mostrare la bellezza del corpo femminile in tutte le sue caratteristiche, abolendo i vecchi stereotipi della moda?
Io sono molto ottimista, ci sono giornali come Donna Moderna che propongono in copertina modelli di bellezza, che fino a ieri non avrebbero mai conquistato una copertina; non solo per le forme del corpo, ma anche per la disabilità e tanti altri aspetti. Ci sono account Instagram dove vedi diventare influencer persone che non rappresentano quello che era lo stereotipo. Vedo tantissimi segnali positivi. In questo momento, quello che mi preoccupa è la creazione di un contro-stereotipo, me ne accorgo perché vedo molta intolleranza tra gli stessi esponenti del movimento del body positive. Mi piacerebbe che la riflessione oggi ci portasse a liberarci completamente dagli stereotipi.
Quale è il suo parere in quanto donna che investe un ruolo dirigenziale, in merito a quanto accaduto al presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen?
Io appartengo alla scuola di pensiero in cui l’atteggiamento peggiore lo ha avuto il collega europeo, essendosi impossessato dell’unica sedia disponibile. Il collega ha dimostrato una grande debolezza, perché un leader sicuro di sé avrebbe colto l’occasione di essere cavaliere. Dietro un’immagine dell’uomo potente e la donna debole, in quell’occasione la vera forte è stata la donna. Anni fa, non sarebbe stato oggetto di articoli di giornale; vuol dire che c’è una grande sensibilità e che ci stiamo trasformando nel sesso forte, grazie a questo lavoro di scambio e comunicazione che facciamo tra di noi. Questo nostro empowerment non si deve trasformare in una guerra dei sessi, ma un progresso per la società di cui si avvantaggiano tutti i generi.