Non riusciamo più a vivere senza social network e, al giorno d’oggi, questa cosa non crea neanche più scandalo. Siamo talmente abituati a postare, taggare e twittare, che se si cerca di ricordare quali fossero le nostre abitudini di comunicazione prima di internet sembra di rievocare un tempo lontano perso nella storia. Eppure, si parla di non di più di trent’anni fa.
Interagire di questi tempi significa annullare tutti i limiti dello spazio e del tempo, ma significa anche reperibilità costante e cambiamento di tutti i tipi di relazioni e dei rapporti sociali. Per fare un esempio, ipotizziamo che un gruppo di ragazzi di diverse nazionalità si conosca dal vivo e dopo un periodo di tempo sia costretto a separarsi e a lasciare la città in cui si sono conosciuti e a ritornare nei rispettivi paesi.
Cosa farebbero oggi questi ragazzi per tenersi in contatto? Oggi non penseremmo neanche un secondo a questa problematica perché́ è scontato il fatto che si terranno in contatto tramite Whatsapp, Facebook, Instagram etc. Ora proviamo a chiederci come avrebbero fatto 40 anni fa.
Forse noi non riusciremmo a pensare a nient’altro oltre che a lettere. Beh, perché effettivamente non c’erano tutte le possibilità che abbiamo ora noi di tenerci in contatto.Prima di internet le comunicazioni erano certamente minori in termini di quantità, ma più profonde e migliori in termini di qualità. Si interagiva con meno persone, ma più assiduamente e prestando più attenzione a ciascuna di esse.
Però una cosa bisogna dire una cosa: sia i più nostalgici sia gli internet addicted sono convinti che internet abbia rivoluzionato il mondo della comunicazione. È, infatti, ormai diventato normale essere “addicted” e il perché è alquanto logico: noi, esseri umani, siamo creature altamente sociali e il nostro cervello è fatto per recepire informazioni anch’esse altamente sociali.
I social network creano dipendenza?
In Italia, le persone utilizzano lo smartphone in media per due ore e mezzo al giorno. Un 20% di utenti arriva anche a quattro ore e mezzo. Un tempo lunghissimo, suddiviso in una miriade di brevi intervalli: secondo uno studio di Deloitte, attiviamo il display del telefono 47 volte al giorno; altre ricerche arrivano a conteggiare fino a 80 attivazioni quotidiane.
Se prendiamo per buono quest’ultimo dato (ed escludiamo le ore trascorse a dormire), significa che non riusciamo a stare più di 12 minuti senza prendere in mano il telefono e dare un’occhiata a Facebook o Instagram. Sono numeri che fanno impressione, ma che riflettono l’esperienza di ciascuno di noi: lo smartphone è sempre al nostro fianco, le notifiche continuano ad accumularsi e resistere alla tentazione di controllarle immediatamente è difficilissimo.
È per questa ragione che si parla di dipendenza da smartphone e social network. “Parlare di dipendenza localizza il problema nell’individuo (...) invece che nella progettazione del dispositivo stesso”, specifica Jenny Radesky, pediatra dell’Università del Michigan. “Penso sia importante enfatizzare che il problema si risolverebbe più facilmente cambiando il design dell’ambiente digitale piuttosto che chiedendo a ogni individuo di resistere a prodotti che sono creati appositamente per essere coinvolgenti a livello ottimale”.
Proprio per questa ragione, Jenny Radesky preferisce utilizzare il termine “engagement-
promoting” (incentivazione al coinvolgimento), che attribuisce la responsabilità dell’abuso dei social network ai veri responsabili: designer e produttori. In poche parole, non sono gli utenti a essere incapaci di resistere alle sirene di Facebook e Instagram: sono i social network e gli smartphone a essere progettati appositamente per ottenere questo risultato.
Per farlo – come ha più volte sottolineato Tristan Harris, ex designer di Google e oggi in prima fila nella denuncia di questi sistemi – sono stati mutuati gli stessi meccanismi delle slot machine o delle macchinette del poker. A spingerci a controllare in continuazione le notifiche non è solo il nostro bisogno di socializzare e connetterci con altre persone, ma soprattutto, come spiega ancora Griffiths, “l’imprevedibilità e casualità delle ricompense che riceviamo all’interno delle piattaforme social”. Ricompense che si presentano sotto forma di notifiche, messaggi o altro e che sono in grado di stimolare la produzione di dopamina. Per questa ragione “anche solo l’anticipazione di una di queste ricompense può essere psicologicamente o fisiologicamente piacevole. È ciò che gli psicologi chiamano ‘programma di rinforzo variabile’ ed è una delle principali ragioni per cui gli utenti di social network controllano in continuazione il loro smartphone”.