Il conformismo è "l’acritica, piatta adesione e deferenza nei confronti delle opinioni e dei gusti della maggioranza o delle direttive del potere". L’anticonformismo, invece, è il modo in cui una persona, si differenzia dalla massa, sviluppando e sostenendo le proprie idee. La “diversità” spaventa a tal punto che molti tendono ad omologarsi per rientrare negli schemi di una società uniformante, preferiscono rinunciare ai propri principi e ai propri ideali, costantemente in cerca del riconoscimento altrui. Pertanto, l’anticonformismo appartiene alle persone che lottano per coltivare e valorizzare il proprio modo di essere, non normalizzato. I giovani, in particolare, temono di esporsi e a volte rinnegano la propria natura per non essere considerati “strani”.
Il ruolo dei social
Al giorno d’oggi, le menti degli adolesceti sono influenzate dai social network, che estendono un modello univoco di bellezza e di successo, spesso illusorio. Se una persona non corrisponde a pieno a questo canone, pur seguendo come follower personaggi di successo, rischia di esporsi a critiche, o peggio, a minacce, soprattutto quando solleva obiezioni o dubbi sulla effettiva realtà e applicabilità di questi modelli di vita. Sui social dunque si confonde il diritto di manifestare e rendere pubblico un proprio pensiero, con la libertà di insultare senza alcun rispetto, demolendo a volte la persona a cui è indirizzata la suddetta critica. Ciò intimidisce chiunque voglia utilizzate le piattaforme per esprimere se stesso e i propri interessi.
Storie di anticonformismo e ribellione
In alcune zone del mondo non c’è ancora la libertà di esprimersi senza subire gravi ripercussioni fisiche o psicologiche. In alcuni paesi dell’Africa, ancora oggi, esiste lo “stupro correttivo”, affinché le ragazze lesbiche siano “curate”. Eudy Simelane, capitano della nazionale femminile del Sudafrica, fu una delle prime donne sudafricane a dichiarare la propria omosessualità e a viverla apertamente in una società fortemente maschilista e omofoba. Il 28 aprile 2008, la trentunenne Simelane fu stuprata e uccisa. In seguito alla rivoluzione iraniana del 1979, in Iran la legge impone a donne e ragazze di coprire i capelli con il velo. Chi protesta contro la norma può essere punito con prigione, pene corporali e pena di morte. Nasibe Semsai è un’attivista iraniana per i diritti delle donne. È fuggita dall’Iran dopo una condanna a 12 anni di reclusione per aver organizzato la campagna dei "mercoledì bianchi", in cui si incoraggiano le donne a rimuovere il velo o a indossarne uno bianco in segno di protesta. Nel novembre 2020, la donna è stata arrestata dalle autorità turche in aeroporto, mentre cercava di raggiungere l'Unione europea per chiedere asilo e rischia l’estradizione, come già successo per altre attiviste iraniane fermate in Turchia, in violazione del principio internazionale consuetudinario di non-refoulement, che vieta l'espulsione verso Paesi dove la persona è a rischio di persecuzione o di trattamenti inumani o degradanti. L’arresto di Semsai non è che l’ultimo esempio di come la Turchia violi le regole internazionali, che prevedono di non deportare nel Paese d’origine le persone che rischiano di finire in prigione a causa delle proprie idee.
Questi due esempi dimostrano come la diversità, ancora oggi, sia considerata un ostacolo; al contrario, la diversità deve essere considerata fonte di ispirazione e di non accettazione passiva di una omologazione, che è frutto di una società di massa priva di principi e di ideali, ma volta soltanto alla ricerca della perfezione estetica e del benessere economico a danno del “diverso” che, come ci insegna l’etimologia latina, è “colui che prende una direzione opposta” (dis-vertor).