A dare la notizia sul verdetto dell'udienza, svoltasi lo scorso 17 gennaio, sono stati i legali del ricercatore egiziano, in arresto preventivo da quasi un anno, accusato di “propaganda sovversiva” tramite i social network. Patrick Zaki dovrà affrontare altri 15 giorni di reclusione. Non nascondono delusione gli avvocati del 29enne egiziano, i quali spiegano che questo nuovo prolungamento non ha nessun significato che possa far sperare in una scarcerazione, pur essendo di 15 giorni e non di 45 come presuppone la fase giudiziaria in cui si trova il ragazzo.
In carcere da quasi un anno
Patrick Zaki era stato arrestato in circostanze controverse il 7 febbraio 2020 e, secondo Amnesty International, rischia fino a 25 anni di carcere. La custodia cautelare in Egitto può durare due anni. Le accuse a suo carico si basano su dieci post di un account Facebook che i suoi legali considerano dei 'fake' ma che per le autorità egiziane hanno configurato i reati di "diffusione di notizie false, incitamento alla protesta e istigazione alla violenza, tentativo di rovesciare il regime, uso dei social media per danneggiare la sicurezza nazionale, propaganda per i gruppi terroristici ". Lo studente, attualmente detenuto nel carcere cairota di Tora, stava frequentando un master biennale in studi di genere all'Alma Mater di Bologna ed è stato arrestato al momento di rientrare in Egitto per una vacanza presso la sua famiglia.
La reazione di Amnesty International
Amnesty International Italia tramite il suo portavoce Riccardo Noury commenta così il prolungamento della custodia in carcere di Patrick Zaki: “Con la decisione di rinnovare di altri 15 giorni la detenzione preventiva di Patrick, dopo 48 ore di attesa dell'esito dell'udienza di domenica, le autorità giudiziarie egiziane hanno mostrato ulteriormente il loro disprezzo per il rispetto e la dignità dei detenuti. Quindici giorni vuol dire che arriveremo a ridosso dell'anniversario dall'arresto di Patrick; è una detenzione che, ribadiamo, è illegale, arbitraria, infondata e immotivata"- e continua- "In questa situazione di detenzione prolungata, con la scusa di condurre indagini, il rischio è che le condizioni detentive siano equiparabili a tortura, se non la tortura stessa".
Le reazioni del mondo universitario e dei legali di Giulio Regeni
Con l’arresto di Patrick Zaki l’Egitto mostra ancora una volta la spietatezza della sua dittatura. "Si tratta dell’ennesimo schiaffo che il nostro Paese riceve da un regime disumano e rappresenta un’ulteriore dimostrazione che l’Egitto non ha intenzione di collaborare con l’Italia per fare finalmente chiarezza sulla tragica fine di Giulio Regeni" dichiarano Adi, l'Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia, gli studenti del Master Gemma di Bologna che Patrick frequentava, Link Coordinamento Universitario e Alessandra Ballerini, legale della famiglia Regeni. Un appello in cui si chiede verità non solo per Giulio Regeni, il ricercatore italiano torturato e ucciso nel 2016 al Cairo, ma anche per Patrick. “Uniamo la nostra voce a quella della famiglia Regeni nel chiedere al Governo di inserire l’Egitto nella lista dei Paesi non sicuri e di richiamare l’ambasciatore italiano in Egitto per consultazioni”.
Le reazioni delle Istituzioni
Come per il caso Regeni, le istituzioni italiane non hanno reagito se non con formali richieste di collaborazione rivolte al Governo egiziano e richieste di aiuto verso altri Paesi Europei, nonostante le famiglie sia di Regeni che di Zaki chiedano da tempo azioni più incisive, compreso il ritiro dell’Ambasciatore italiano in Egitto. Una reazione concreta non è arrivata nemmeno dall’Unione Europea. Lo scorso 19 dicembre il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione per esortare gli Stati membri a imporre sanzioni economiche contro l’Egitto, passata con 434 favorevoli, ma anche 29 contrari e 202 astenuti. In seguito alla risoluzione tuttavia nessun paese ha ancora proceduto a sanzionare il Cairo.