Immigrazione minorile e ricongiungimento familiare, l'esperta: "L'integrazione parta dai coetanei"
Ne abbiamo parlato con Valeria, docente che si occupa di integrazione nelle scuole
Marta Catoni | 12 gennaio 2021

La parola "immigrazione" è una delle più utilizzate - e spesso strumentalizzate - in politica e sui media, eppure in pochi conoscono fino in fondo questo fenomeno. Sarebbe superficiale ridurlo all'arrivo di stranieri attraverso i duri viaggi in mare o via terra, perché si tratta di un movimento umano e sociale (prima ancora che fisico) estremamente variegato e complesso. Un aspetto interessante è ad esempio quello che riguarda l'immigrazione minorile legata ai ricongiungimenti famigliari. Ne parliamo con Valeria C., docente della scuola Toscanini di Milano, che segue e si occupa dell’accoglienza dei ragazzi stranieri in Italia in questa scuola media.

Da quali Paesi proviene la maggior parte degli studenti immigrati di cui si occupa?

Gli stranieri che vivono a Milano, spesso, tendono a raggrupparsi in quartieri a seconda della provenienza, formando delle sotto-comunità: ad esempio troviamo il quartiere dei cingalesi, quello degli arabi, quello dei peruviani etc. La maggior parte dei ragazzi che seguo provengono dal Nord Africa, in particolare dall’Egitto e dal Marocco, ma anche dal Sud America e sono collocati nella zona 5 di Milano. Non si tratta di ragazzi arrivati con i barconi, non hanno affrontato viaggi stremanti e nella maggior parte dei casi arrivano semplicemente con un aereo, ma poi vengono catapultati da un giorno all’altro in un mondo totalmente nuovo rispetto a quello di provenienza e questo rappresenta un forte trauma per loro.

Anche se le loro storie, solitamente, non sono drammatiche, non mancano le difficoltà. Quali sono le principali esigenze?

Solitamente le famiglie di questi ragazzi sono arrivate nel nostro Paese prima di loro lasciando la loro terra per situazioni di estrema povertà e, come dicevo, i ragazzi si ritrovano spesso catapultati in contesti per loro stranianti. Per questo, a Milano e dintorni, sono nate diverse associazioni che si occupano di dare sostegno ai ragazzi immigrati di recenti. Io stessa sono stata volontaria presso l’associazione IBVA, Istituto Beata Vergine Addolorata, un’associazione no profit che opera a favore di minori e famiglie straniere fornendo alloggi, corsi di Italiano e sportelli d’informazione e ascolto. La problematica iniziale più significativa per i minori è quella di ottenere i documenti e la tessera sanitaria per usufruire delle cure mediche. Questo processo è piuttosto lungo e complesso perché condizionato dal Paese di provenienza. Un altro ostacolo è sicuramente la lingua: molti di loro non conoscono nemmeno una parola di Italiano, si trovano quindi avvolti da “rumori” assordanti e incomprensibili e proprio per questo il loro inserimento scolastico viene stabilito da figure preposte che li assegnano alle classi secondo un vero e proprio protocollo di accoglienza scolastica. Gli studenti vengono valutati con un test, affrontano un colloquio con il referente scolastico, a sua volta assistito da un interprete, al termine del quale si valuta il corpo docente e la classe più idonea per accoglierlo. Non secondario è il problema economico: le famiglie di provenienza, non essendo abbienti, incontrano difficoltà nell’acquisto di libri e materiale scolastico, ma anche in questo caso l’Istituto - con risorse proprie e fondi messi a disposizione dal Comune -sopperisce a questa problematica.

E poi c'è il problema dell'integrazione...

Per quando riguarda la socializzazione e l’integrazione all’interno del gruppo, nonostante le difficoltà linguistiche, i ragazzi  spesso riescono a interagire con gli altri attraverso attività ludiche come lo sport o l’ascolto della musica.  Per questo è importante non ridurre tutto alle classiche ore scolastiche.

Cosa possiamo fare e quali comportamenti possiamo adottare per far sì che i nuovi immigrati siano sempre più integrati, accettati e quindi non visti come diversi?

Non è semplice... io stessa, quando ero giovane, ho faticato a sentirmi parte della comunità in cui sono nata e cresciuta, dato che mio padre era greco e non italiano. Ma dovete essere voi giovani a portare un vento di innovazione: cercate sempre di essere aperti a di accettare le persone culturalmente diverse, dando loro la possibilità di dimostrare il meglio di ciò che possiedono.