Chapeau all'eroica Roma di Eusebio Di Francesco! Chapeau ai suoi ragazzi, Džeko innanzitutto, che a gennaio ha rifiutato le lusinghe e i milioni del Chelsea per rimanere nella Capitale e dedicarsi anima e corpo ad una missione nella quale, evidentemente, crede con tutto se stesso. E poi De Rossi, protagonista del raddoppio giallorosso su rigore, e infine Manolas, l'altro autore delle due sfortunate autoreti romaniste al Camp Nou che ieri sera, invece, ha suggellato l'impresa con un colpo di testa nei minuti finali che si è insaccato là dove Ter Stegen non poteva arrivare, dopo aver compiuto in precedenza un miracolo che aveva tenuto vive le speranze di qualificazione di un Barcellona che, sinceramente, non l'ha mai veramente meritata. Perché anche nel loro tempio i blaugrana di Valverde, pur avendo dominato, non hanno mai davvero convinto, aiutati un po' dalla sorte e un po' da decisioni arbitrali che definire discutibili sarebbe riduttivo.
L'amara verità è che del Barça guardioliano e anche di quello del primo Luis Enrique è rimasto poco o nulla. Messi si conferma un fuoriclasse ma, al momento, Cristiano Ronaldo è più forte di lui. Iniesta è ormai al canto del cigno. La difesa traballa. Il centrocampo, per quanto ben dotato, dopo l'addio di Xavi non è più lo stesso. La cessione di Neymar al Paris Saint-Germain ha danneggiato sia lui che il Barcellona, non incidendo in alcun modo sulle sorti europee dei parigini, eliminati agli ottavi dal Real, e privando i catalani del terzo alfiere della MSN che, negli anni scorsi, tremare il mondo faceva.
E poi l'arroganza, l'insopportabile arroganza dei media locali che avevano esultato alla notizia che se la sarebbero dovuta vedere con una squadra ritenuta nettamente inferiore, la quale, al contrario, giocando con la mente libera e sapendo di non aver nulla da perdere, ha inflitto agli spocchiosi barcellonisti una lezione di sport e di vita.
C'è poco da fare: il ciclo aureo del Barça è terminato la notte di Berlino (6 giugno 2015), quando a fare le spese degli ultimi fuochi del club delle meraviglie era stata la prima Juve di Allegri. Da allora, il Barcellona in Europa non è mai andato oltre i quarti, a dimostrazione che dovrà essere rifondato e dotato nuovamente di un gioco all'altezza della sua storia e dei suoi recenti trionfi. Inoltre, dovranno tornare a investire un po' sui giovani perché dalla Masia, ahiloro, non è ancora uscito un solo elemento in grado di competere con i campioni ancora in servizio, il cui logorio, tuttavia, appare ormai evidente.
La Roma adesso non ha frontiere. Certo, se dovesse incappare nel Bayern o nel Real sarebbero dolori (sempre che alla Juve non riesca una "remuntada" storica come quella che è riuscita ai giallorossi). Altrettanto certo, però, è che. dopo la serata di ieri, tutto può succedere. La Roma, infatti, ha già vinto la Champions: qualunque cosa accada da adesso in poi, Di Francesco meriterà solo applausi e complimenti. E se dovesse incappare nel Liverpool (vittorioso ieri sera per 2 a 1 contro l'improponibile City petromilionario del fu Guardiola), avrebbe finalmente l'opportunità di vendicare la dolorosa sconfitta patita trentaquattro anni fa proprio all'Olimpico, nell'unica finale di Coppa dei Campioni disputata dalla compagine capitolina.
Stasera vedremo all'opera la Juve, il cui compito è proibitivo ma, come insegnano la Roma e il suo coraggio, non impossibile, e il Bayern, impegnato in casa contro il Siviglia. Sognare, in fondo, non costa nulla.
P.S. Addio a Sauro Tomà, ultimo reduce del Grande Torino, scampato alla tragedia di Superga a causa di un salvifico infortunio. Aveva 92 anni ma non è assurdo sostenere che la sua mente fosse rimasta ferma a quel maledetto 4 maggio 1949. Uno schianto, un addio collettivo. un'intera vita trascorsa a domandarsi perché gli altri sì e lui no. Che la terra gli sia lieve.