Il lockdown globale ha messo tutti noi a dura prova. Ci siamo reinventati cuochi, scrittori, personal trainer, elettricisti, idraulici, estetiste ed onicotecniche. Io, ad esempio, figlia di insegnanti, sono diventata un tecnico informatico.
I miei genitori, rispettivamente un insegnante di liceo e un docente universitario, hanno superato gli “-anta” da un po’, hanno sempre lavorato con passione e si sono sempre trovati completamente a proprio agio quando si trattava di compilare verbali, correggere compiti, rivedere essays e tesine e, in generale, a circondarsi di libri, carte e scartoffie.
La didattica a distanza, attività simbolo del 2020, ha costretto tutti, alunni ed insegnanti di scuole di ogni ordine e grado, a confrontarsi con una realtà nuova e complessa fatta di videolezioni, portali web, verifiche ed esami online. Questa nuova gestione del lavoro di docente ha sicuramente stimolato l’uso di materiali didattici nuovi, più interattivi ed inclusivi per certi versi, mentre, ha mandato in crisi interi nuclei familiari costretti alla convivenza, senza via di scampo.
Dopo aver lungamente e strenuamente combattuto tutto l’anno contro il più grande nemico degli insegnanti di scuole superiori, il registro elettronico, ora, noi, figli dei suddetti insegnanti, ci siamo ritrovati a fronteggiare un nuovo avversario più grande e sconosciuto, e ancora non sappiamo per quanto tempo.
Far comprendere il concetto di “aula virtuale” ai miei genitori è stato un flashback a quando ho dovuto ripetutamente spiegare loro la differenza tra “tag” ed “hashtag”, quando, dopo aver compreso tutti gli oscuri misteri di Facebook, hanno provato a colonizzare anche Instagram, fortunatamente con ancora scarso successo.
Capisco, però, che oltre al semplice ostacolo tecnico del non saper ancora correttamente maneggiare i nuovi mezzi a disposizione, questa quarantena e questo nuovo modo di insegnare “virtualmente”, sono resi e vissuti in modo ancora più difficile, per chi è abituato al rapporto umano con i propri studenti, a guardarli negli occhi, a vederli crescere, innamorarsi nei corridoi o litigare ai distributori automatici e, perché no, inventare sempre nuovi modi per sfuggire ad interrogazioni e compiti.
Probabilmente quando tutto questo sarà finito, questa strana relazione di dipendenza unilaterale mancherà un po’, sia a me che a loro, attenderò, dunque pazientemente la fine della quarantena, sperando che, nel frattempo, i miei non si accorgano dell’esistenza di TikTok.