Passata la prima settimana i quarantena, non è sempre facile mantenere la lucidità. Abbiamo assistito a un boom di notizie, rumors dei giornalisti, voci e opinioni di chi si ergeva come esperto sul tema corona virus. Ma ora dobbiamo fare i conti con il silenzio che si è creato intorno a noi, ed è questo il momento per attivare i nostri neuroni e sciogliere alcuni dubbi fondamentali che questo stato d'allarme ha creato in tutti noi.
- Non è certo il momento di puntare il dito: In un momento così delicato, siamo tutti con i nervi tesi e non perdiamo l'occasione per sfogare sugli altri la nostra rabbia. Non solo dentro le mura domestiche, ma anche nei confronti dei nostri compatrioti, dei politici o degli altri Stati. La verità è che ci sentiamo soli, abbandonati dalla società e dallo Stato. Per prima cosa, smettiamola di prendercela sempre con gli altri. Solo uniti ne usciremo.
- Non solo la sanità ma anche la scuola pubblica è appesa a un filo: Le priorità dello Stato in questa emergenza sono chiare, al primo posto la sanità, ma l’istruzione non può essere lasciata nel dimenticatoio. Il futuro è più incerto di quanto prometta il Presidente del Consiglio Conte. Non sappiamo se ci rialzeremo e il primo campanello d’allarme arriva dalla scuola perché fino ad ora non è stata presa nessuna manovra per studenti e professori. La scuola pubblica non può permettersi di cadere nel baratro nemmeno in questi momenti così delicati.
- La socialità è come prima? Ce lo chiediamo durante le nostre nottate insonni, nelle nostre comode case. Cosa cambierà quando potremo mettere il naso fuori di casa? Ma soprattutto è stato il virus stesso a renderci intolleranti su ogni cosa? Era il 21 febbraio 1965 e Malcom X ci ammoniva già sul potere esclusivo dei media, un eccessivo controllo costante e virtuale che ci rende informati, ma dall’altro lato siamo influenzabili e quasi pronti a esplodere come dinamite in un’ansia generale. E intanto là fuori, mai come ora, tutto scorre silenzioso, vaporoso e inavvertitamente tutto passa.
- Un minuto nelle carceri d’Italia. Un leggero colpo di tosse è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. L’emergenza ha messo in ginocchio la nostra “normalità” e dentro alle carceri di tutta la Penisola non si respira aria migliore. Sono morti dei detenuti (di overdose o per l’asfissia degli incendi, è ancora da appurare) ma dobbiamo tentare di entrare con la mente in quelle celle. D’altronde le nostre ansie, le paure, lo stress che ci portiamo sulle nostre spalle anche a causa di un virus, si trasferisce dentro quei penitenziari. Cerchiamo di non chiudere i nostri occhi e vediamo oltre il nostro balcone.
- Possiamo essere come la Cina? Bloccata un’intera città per un mese. Il virus a Wuhan sembra ormai appartenere al passato grazie ad una efficace opera di contenimento. Il blocco della produzione è stato messo in pratica totalmente anche a costo di pesanti limiti di movimento. In Italia non tutto si è fermato: oltre a mantenere una certa libertà nel muoversi per strada nel rispetto dello stato di diritto, molte fabbriche non hanno chiuso. Fincantieri e Comfindustria sono solamente alcuni degli esempi di una produzione che non si arrestano del tutto. Allora fin dove potrà spingersi il Paese tra modello cinese e rispetto delle libertà individuali?