Affamati da una vita
Costanza Rizzacasa d’Orsogna ci parla del suo ultimo libro, che affronta i problemi legati all’accettazione di sé e del proprio corpo
Bianca Verolini | 9 marzo 2020

Non superare le dosi consigliate (Guanda Editore) è un romanzo in parte autobiografico che racconta una storia autentica e affronta alcuni dei temi più spinosi dell’adolescenza, senza sfociare mai nella banalità. Matilde, “affamata da una vita” , è costretta a fare i conti, sin da piccolissima, con i disturbi alimentari (suoi e della madre), e ci insegna che le donne non devono essere ostaggio dell’aspetto fisico e che la bellezza non risiede in un corpo esile. Ne parliamo con l’autrice, Costanza Rizzacasa d’Orsogna.

Uno dei grandi problemi dell’adolescenza è l’accettazione del proprio corpo. Come imparare ad amarsi?

Credo che in fondo non ci si accetti mai davvero, di certo è un percorso lungo. Nell’adolescenza, poi, è tutto più difficile. Sia perché stiamo ancora scoprendo chi siamo, sia per le pressioni del gruppo, per i bulli. Però col tempo ti vuoi più bene, impari a perdonarti. La società vuole le donne sempre in competizione fra loro, spesso per uno sguardo maschile. Ma cosa accadrebbe se noi scardinassimo queste dinamiche tossiche con la sorellanza?

Pubblicando questo libro ti sei esposta tantissimo. Ne eri consapevole?

Ho prestato a Matilde il mio vissuto di disturbi alimentari, a partire dalla bulimia di mia madre, e la battaglia di una vita con il peso. Quando ho iniziato a scrivere il romanzo avevo trascorso tre anni della mia vita nascondendomi. A un certo punto, però, il desiderio di dire basta, e di raccontarsi, viene fuori. La cosa più difficile non è stata scrivere, ma arrivare a quella consapevolezza. Una volta uscita dal guscio, ho sentito l’abbraccio di tutto il mondo, come se la mia storia appartenesse a tutto il mondo. Perché è proprio così.

I disturbi alimentari sono sempre più frequenti tra i giovani. Il cibo è un modo per celare una fame più profonda, ma di cosa esattamente?

Spesso è fame d'amore. D’amore e d’attenzione, e quindi di accettazione. Oggi, con Internet, ci confrontiamo ogni giorno con corpi bellissimi e irraggiungibili. Su Instagram vediamo migliaia di corpi perfetti e sorridenti, vite perfette e bellissime. Non sappiamo che è tutto un inganno, che molto di quello che vediamo è Photoshop. Allo stesso tempo, le vite sono sempre più frenetiche: quelle dei nostri genitori, per esempio, che hanno meno tempo per noi. Così cerchiamo surrogati. Il surrogato di Matilde è il pane.

Matilde si scontra anche con la dipendenza della madre dai lassativi, che diventerà anche la sua. Spesso ci si illude di poter curare ferite psicologiche con i farmaci. È un'altra piaga della nostra società?

Sicuramente. La madre di Matilde appartiene alla cosiddetta Generazione Farmaceutica, quella del Dopoguerra, quando si prendevano farmaci come fossero acqua fresca, senza preoccuparsi delle conseguenze, e si davano ai bambini. Ma ogni generazione ha la sua dipendenza. La droga degli studenti americani oggi è l’Adderall, farmaco studiato per combattere il deficit d’attenzione di cui si abusa per migliorare le prestazioni.

Tua madre non c’è più da tanti anni. Oggi riesci a convivere col dolore che ti ha provocato?

In realtà non ho mai pensato che mia madre mi avesse “provocato dolore”, di certo non le porto rancore. L’ho sempre amata moltissimo e oggi riesco a capirla molto di più. Allora non mi rendevo conto di quanto stesse male: io e mio fratello la vedevamo vomitare tutti i giorni, ma non sapevamo avesse un disturbo mentale, non sapevamo cosa fosse un disturbo mentale, e neanche lei. Da adolescente combattevo mia madre come tutti gli adolescenti combattono i propri genitori. A tratti ho anche pensato che non mi volesse bene perché era sempre così severa con me. Poi però crescendo ci siamo ritrovate, anche se dopo il liceo sono andata negli Stati Uniti e il nostro rapporto è stato perlopiù telefonico. Ma in questo libro non c’è alcuna rabbia: per certi versi è una lunga lettera d’amore ai genitori.

Ti senti più forte dopo aver scritto questo romanzo?

Decisamente. E non perché sia dimagrita: ho perso sì 40 chili con dieta e palestra, ma a 91 chili resto una donna grassa. E va bene così, anche se era fondamentale dimagrire per questioni di salute. Ma quello che è cambiato è soprattutto il mio atteggiamento. Ho imparato a reagire agli insulti. Prima abbozzavo sempre e andavo a piangere a casa. Adesso sono una persona più forte, trasmetto forza e serenità perché è così che mi sento. E vorrei dire una cosa a tutte le ragazze e i ragazzi: dai disturbi alimentari si può guarire, dalla stupidità no. Fregatevene dei bulli, noi valiamo.